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Capitolo Quinto
La notizia del
delitto del Quadrivio campeggiava ancora in prima pagina nei quotidiani
regionali.
L’Opinione, pur di
tenere desta l’attenzione dei lettori su quello che era divenuto ormai
l’efferato delitto del Poetto, rimestava
ancora la stessa notizia, arricchendola con nuovi particolari sulle personalità
della vittima e del carnefice, definito anche mostro, assassino, omicida,
ancorché sempre presunto (ma la presunzione veniva sempre messa tra parentesi,
pro forma, dato che l’articolista faceva trasparire che l’indiziato fosse
senza dubbio l’autore del reato).
«Minestra
riscaldata» – pensò il Commissario De Candia dopo aver letto l’articolo di
Chiara Coseno, capo redattrice della cronaca nera dell’Opinione.
Di nuovo, se così
si può dire, c’era la notizia che l’interrogatorio di garanzia era previsto per
la mattinata di mercoledì, che l’indagato si sarebbe avvalso , probabilmente ,
della facoltà di non rispondere, che l’autopsia si sarebbe svolta sabato mattina
e che l’arresto sarebbe stato senza dubbio convalidato (ma questa era
un’illazione, sulla base del fatto che le prove apparivano schiaccianti).
La capo-redattrice
chiudeva l’articolo preannunciando uno speciale per l’uscita di giovedì, che
conteneva un’intervista a Emanuela Olivares, della SelenTVSAT, conduttrice del
fortunato spettacolo “Colpevole
o Innocente?”, un
programma che, ad imitazione delle TV Nazionali, celebrava i processi in
parallelo coi Tribunali, appassionando il pubblico, diviso in due fazioni,
entrambe convintissime, sulla base di mere sensazioni personali, sganciate da
ogni riflessione razionale e giuridica, della fondatezza della propria teoria.
Il commissario De
Candia detestava quel genere di programmi, forse perché di fascicoli di
omicidio, caldi, caldi, ne aveva ben sei sulla sua scrivania (senza contare
quelli tiepidi e quelli ormai freddi).
O forse detestava
certe televisioni tout court.
«Certo i processi
in TV erano di più facile soluzione!» – mormorò tra sé il commissario De Candia
osservando i fascicoli impilati sul ripiano della sua scrivania.
Il commissario De
Candia non aveva fatto sempre parte della Squadra Omicidi. Nei primi anni
settanta, appena entrato nella Polizia di Stato, fresco vincitore di concorso,
era stato inserito nella Buon Costume.
Poi, stanco di
avere a che fare con prostitute e magnaccia, aveva chiesto di essere
trasferito. I suoi superiori gli avevano parlato di un programma particolare
dove, con opportuni accorgimenti, si sarebbe potuto inserire.
Così si era
trasferito alla Scuola Sperimentale della Polizia di Stato di Trieste, un nome
ordinario che nascondeva dei programmi avvolti nella massima riservatezza,
dietro un’apparenza accademica quasi banale.
E lì era avvenuta la sua trasformazione, fisica e psicologica.
Per essere un
agente sotto copertura, gli fu spiegato, occorreva innanzitutto cambiare modus
operandi, per acquisire nuovi abiti mentali. E per smaltire la puzza di sbirro,
gli dissero in un gergo nuovo e ufficioso, occorreva cambiare d’aspetto.
Dopo alcuni test
attitudinali fu scelto come agente sotto copertura della Sezione Narcotici. Gli
insegnarono un nuovo modo di abbigliarsi e gli suggerirono di farsi crescere
barba e capelli. L’opera di trasformazione fisica fu completata con un piccolo
orecchino d’oro a cerchio piantato nel lobo sinistro (quella fu la parte più
dolorosa della sua mutazione fisica).
Non fu difficile
per lui apprendere il gergo del mondo delle sostanze stupefacenti prima in
lingua italiana e poi in lingua spagnola (abbastanza facile per lui che aveva
un’ascendente in linea retta di madre lingua) e infine in lingua inglese (dove
eccelleva per studio e per passione).
E dopo un intenso
periodo di studio teorico e un rapido corso di pratica fu pronto per
infiltrarsi negli ambienti romani dove si consumava e si spacciava, soprattutto
marihuana e hashish.
Da lì, piano,
piano, riuscì ad infiltrarsi in alcuni grossi giri dello spaccio internazionale
prima a Londra e poi a Panama e in Colombia.
Nonostante la sua
meticolosa preparazione, dopo qualche anno quella vita sregolata e così diversa
dalle sue abitudini e dai suoi costumi, lo logorò al punto che chiese di essere
esonerato e di tornare alle sue mansioni ordinarie, nei ranghi ufficiali del
servizio di pubblica sicurezza.
Era arrivato al
punto di non ricordare più quando e perché fosse iniziata quella sua nuova
vita. E si chiedeva con angoscia se lui fosse quello che era prima oppure se la
sua nuova personalità avesse definitivamente preso il sopravvento sulla prima e
originaria di poliziotto formale e regolare.
In ogni caso
doveva ricollegarsi a ciò che era stato, prima di perdersi completamente nei
meandri di quelle esperienze fuori dall’ordinario che lo avevano indotto a
percepire il mondo in maniera totalmente differente da prima.
Fu più faticoso di
quanto avesse immaginato riabituarsi a
quella vita di routine e fare a meno del fumo, con cui aveva convissuto,
travolto dal vortice della sua immedesimazione di copertura.
Per fortuna che i suoi istruttori gli avevano
precisato che in quell’ambiente, non tutti gli spacciatori erano per forza dei
consumatori, soprattutto con riguardo alle droghe definite pesanti, anche se
tutti o quasi erano quantomeno dei fumatori. E anche se gli avevano descritto gli effetti del fumo e come
simularli, fingendo di inalare e di immagazzinare nei polmoni il fumo, lui
aveva finito per fumare sul serio, forse preso dalla curiosità, o per un falso
senso del dovere o per una sorta di deformazione professionale. O magari per
paura di essere scoperto.
Ecco, forse era
stata proprio la paura a imporgli di smettere con quel lavoro sotto copertura.
E non solo la paura di essere scoperto da quelli con cui si fingeva amico e
complice ma che in realtà dovevano essere i suoi nemici.
E se verso gli
spacciatori non provava dubbi né rimorsi nell’averli ingannati, al riguardo dei
semplici consumatori che aveva dovuto frequentare per arrivare ai loro
fornitori, aveva cominciato a sentirsi in colpa.
E così che era
entrato in crisi sulla sua essenza più intima e profonda.
Chi era davvero?
Chi era diventato? Come poteva continuare a fingere di essere ciò che non era?
O era diventato davvero un’altra persona, diversa da prima che accettasse di
infiltrarsi un quel mondo di allucinazioni e finzioni?
Ma ora era tutto
finito. Si era ricollegato al suo mondo di prima e aveva riacquistato la sua
serenità e la sua forza originarie, di quando era entrato in polizia seguendo
le orme di suo padre e i suoi ideali di combattere per un mondo migliore, dalla
parte del bene nella lotta eterna contro il male.

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