https://www.amazon.it/dp/B0D7TGK2TJ
Anno Scolastico 1962-63
I live in Italy with my wife, our two daughters and a cat called Shiwon. I'm a teacher and a lawyer. I like reading and writing. My best items are for fiction, poetry and theatre. I'm a great dreamer though I'm not young anymore (anagraphically at least). I also like movies such as spy stories and action's movies. One of my best are English 007's movies.
Missione
di Geremia
“Io no,
Signore! Io non so parlare!
Son troppo
giovane, come potrei
Fra Te e
il tuo popolo saper mediare?”
Ma il Signore
Jahvèh, Dio dei Giudei
Per profeta
già mi aveva prescelto
Che ancora mi
formava in seno lei,
così che di
lingua e di passo, svelto
dovetti esercitarmi a divenire;
per fedeltà a
Dio in quella, e in questo
per fuggire,
fuggire e ancor fuggire
dalle
aggressioni di questa mia gente!
Perché, madre,
non m’hai fatto morire
Quando ero nel
tuo grembo? Così niente
Avrei visto di
tormenti e dolore
E lì sarei
rimasto eternamente!
I live in Italy with my wife, our two daughters and a cat called Shiwon. I'm a teacher and a lawyer. I like reading and writing. My best items are for fiction, poetry and theatre. I'm a great dreamer though I'm not young anymore (anagraphically at least). I also like movies such as spy stories and action's movies. One of my best are English 007's movies.
I live in Italy with my wife, our two daughters and a cat called Shiwon. I'm a teacher and a lawyer. I like reading and writing. My best items are for fiction, poetry and theatre. I'm a great dreamer though I'm not young anymore (anagraphically at least). I also like movies such as spy stories and action's movies. One of my best are English 007's movies.
I miei ricordi di scuola più lontani son
legati a cinque colori. Il primo fiocco, quello della prima elementare,
nell’anno scolastico 1960-61, era di colore rosa.
Ricordo anche un grembiule nero con le
tasche; dei quaderni dalla copertina nera; un banco di legno a due posti, con
il piano inclinato, troppo alto per la maggior parte di noi. In cima al banco,
sul bordo superiore, una scanalatura che ospitava, per ogni scolaro, la stilo e
un foro dal diametro di circa cinque centimetri dove alloggiava il calamaio
con l’inchiostro nero.
All’estremità inferiore della stilo un
foro serviva per fissarvi il pennino. Si intingeva il pennino nel calamaio
e si facevano delle pagine di aste, di quadrotti e di circoletti; per giornate
intere; in classe e a casa; quaderni interi di aste, cerchietti e quadrotti;
poi si passava alle lettere dell’alfabeto: vocali e consonanti; maiuscole e
minuscole, in sequenza; quaderni interi: in classe e a casa.
L’ultimo foglio del quaderno
riportava le tabelline: occorreva mandarle giù a memoria; in classe e a casa:
quella del 2, poi quella del 3, quella del 4 e così via. Il mio maestro della
prima elementare si chiamava Giorgio Maxia. Era figlio di ricchi possidenti:
lui e suo fratello avevano studiato entrambi ed erano divenuti insegnanti grazie
al diploma quadriennale delle Scuole Magistrali.
Le loro terre le lavoravano i mezzadri (poco
più di vent’anni dopo, nel 1982, la legge De Marzi-Cipolla avrebbe abolito
quell’istituto giuridico così atavico e forse troppo punitivo per i braccianti senza
terra e senza lavoro. Ma a quel tempo io certe cose non le pensavo nemmeno).
Il mio maestro mi apprezzava molto; me lo
dimostrava quando, a fine mattinata, mi assegnava la tessera del refettorio
scolastico comunale di qualche bambino titolare che fosse risultato
assente a scuola. Allora, anziché rientrare a casa, me ne andavo alla mensa
comunale: con quella tessera mi spettava un pasto completo: la pastasciutta la
saltavo perché sembrava un impasto di colla.
Se
c’era la minestra di riso oppure il minestrone, invece, lo mangiavo volentieri;
scartavo anche la fettina, che assomigliava spesso ad una suola di scarpa
e le uova sode, che all’interno si presentavano con un colore verde-giallo
poco rassicurante; neanche il formaggino, a volte striato di verde sotto la
confezione, mi attirava. Ciò che mi attirava di più erano certi panetti di
marmellata di una nota casa svizzera: delle vere leccornie!!! Quella confezione
da sola valeva il mio viaggio alla mensa scolastica.
Quando mi vedeva in piazza, il mio
maestro, mi mandava al tabacchino a compragli le sigarette. Fumava le Alfa; sul
pacchetto bianco spiccava infatti una lettera Alfa dell’alfabeto greco dal
colore rosso.
Da grande ho scoperto che quelle
sigarette facevano letteralmente schifo, peggio anche delle Nazionali
senza filtro; o forse ero solo viziato dalle Esportazioni con filtro e dalle
Diana che scroccavo, di nascosto, a mio padre e ai miei fratelli. Mi dava
centocinquanta lire e mi regalava le venti lire di resto. Era il suo modo per
dimostrarmi la sua simpatia ed il suo apprezzamento per l’impegno scolastico.
Quel ventino dal colore di bronzo mi rendeva felice e correvo subito a
comprarmi delle caramelle e un cono di zucchero da dieci lire. Ma se si era
a Carnevale allora mi
compravo una maschera da cow-boy con l’elastico ai lati (la seconda scelta era
la maschera da indiano Sioux) e un pacchetto di coriandoli.
Quando pioveva, la strada per raggiungere
la scuola diventava una pozzanghera. I marciapiedi non esistevano ancora al mio
paese e le strade, per la maggior parte, non erano asfaltate. Mio padre mi regalò
un paio di stivali di gomma affinché non restassi con i piedi bagnati tutta la
mattina e non rovinassi le scarpe (che comunque non erano certo le scarpe da
passeggio che si usano oggidì).
Ricordo che il Comune distribuiva alle
famiglie dei bisognosi delle scarpe. Io mi ritenevo fortunato: la mia famiglia,
pur essendo assai numerosa, era considerata benestante. Anche se mio padre ripeteva
che i veri ricchi erano i proprietari terrieri che risultavano sconosciuti al
Fisco e non presentavano neppure la dichiarazione dei redditi.
Mio padre era un commerciante; uno di
quei grandi uomini che, nel loro piccolo, con inenarrabili sacrifici e tanto
lavoro, hanno contribuito a ricostruire l’Italia distrutta dalla guerra. Lui
però rimpiangeva la vita militare e i gradi di maresciallo che aveva abbandonato,
con stipendio sicuro, malattia e ferie pagate. Malediceva sempre il
governo che, non ho mai capito con quale diabolico stratagemma, lo aveva
convinto a cancellarsi dagli albi degli artigiani (lui che aveva le mani d’oro
di orologiaio) per convincerlo a divenire un commerciante.
Col senno di poi, capisco però che con quel capitale che aveva immobilizzato nel negozio (tra oreficeria, gioielleria, articoli da regalo, sveglie e orologi) a quei tempi, quando i titoli di stato spuntavano un tasso annuale del 15%, avremmo potuto vivere di rendita. Ma la generazione di mio padre (ed il suo carattere fondamentalmente onesto, unito alla mentalità biblica del piacere-dovere di guadagnarsi il pane col sudore della fronte) era fatta di una tempra dura, tutta casa e lavoro. Sarebbe stato impensabile mangiare senza lavorare.
Ma il boom covava sotto le ceneri dell’Italia
distrutta dalla guerra. L’Italia, in quegli anni, gettava le basi per la
crescita enorme che sarebbe passata alla storia con il nome di “boom economico”.
I live in Italy with my wife, our two daughters and a cat called Shiwon. I'm a teacher and a lawyer. I like reading and writing. My best items are for fiction, poetry and theatre. I'm a great dreamer though I'm not young anymore (anagraphically at least). I also like movies such as spy stories and action's movies. One of my best are English 007's movies.
Capitolo
Primo
Itzocar si svegliò
all’alba. La notte era trascorsa, nonostante tutto. Riprendendo coscienza di
sé, si rendeva conto finalmente di cosa fosse successo. Gli eventi si erano accavallati
troppo in fretta per poterli subito focalizzare freddamente. Adesso, nel fresco
del mattino non ancora riscaldato dal sole nascente, la sua mente ricostruiva
quanto successo il giorno prima. I servi, come di consueto, gli avevano fatto
trovare il latte di capra appena munto. Sorseggiandolo, come in un lampo,
rivide suo figlio Damasu sollevare il braccio contro di lui; Elki cadere sotto
il suo tremendo fendente; suo figlio, con la sorpresa e il terrore dipinti sul
viso, gettare il suo pugnale per terra e scappare; poi era scoppiato il caos.
Una cosa era certa, oggi come ieri: quel colpo era diretto a lui; suo figlio voleva
ucciderlo.
Perché? Che cosa aveva
sbagliato con il suo primogenito? Quali torti aveva commesso nei suoi
confronti? Non lo aveva forse fatto designare, dopo avere superato la prova di
ammissione tra i guerrieri, a succedergli come capo tribù? Non gli aveva assegnato,
in parti uguali con suo fratello Rumisu, un gregge di mille capi di bestiame?
Ma allora, perché? Cosa c’era dietro quel gesto così insano, così folle, così
contro natura? Solo una smodata voglia di assurgere al potere prima del tempo?
Eppure non aveva letto
alcun odio negli occhi del figlio, quando per un interminabile istante, era
rimasto con la mano levata che stringeva ancora il coltello insanguinato di
quel sangue fraterno che doveva essere il suo. Meraviglia e paura, forse anche vergogna, per avere osato
tanto, per avere fallito;
ma non vi aveva letto
odio; no, suo figlio non poteva odiarlo. Nella storia del suo villaggio, e
nelle altre storie che si tramandavano per bocca dei vecchi cantadores,
si era sentito di figli che odiavano i padri, sino a ucciderli, o a venirne
uccisi; ma mai a tradimento; piuttosto in un’ordalia, che a volte i padri
accettavano per lasciare che gli dei delle acque sacre decretassero chi ancora fosse
il più forte, legittimato a comandare,
nel villaggio. E mai, mai, un figlio
aveva osato macchiare la cerimonia sacra del rientro e della riconsegna delle
insegne del comando.
Una domanda salì alla
mente del capo tribù, come un lampo improvviso: chi aveva armato la mano di suo
figlio?
Intanto, in preda a queste
riflessioni, era giunto in vista al recinto dove Rumisu si apprestava a
liberare le sue greggi per condurle al pascolo. Lo vide, prima ancora di
sentirlo, raggruppare gli animali, con quei movimenti e quei richiami che un
pastore ripete con la solennità che gli proviene dall’innato costume a dominare
le greggi, ma senza violenza o malanimo, quasi con amore, come se animali e
uomini fossero una sola entità, sacra e da rispettare. Al contrario del fratello,
Rumisu si era da subito dedicato alla cura delle greggi, con tutta l’anima e
con tutto se stesso. Avevano sposato due sorelle e sua moglie gli aveva già dato due figli, un maschio e una femmina.
«Bentornato, padre», esclamò quando fu a portata di voce.
No, Rumisu non c’entrava
per niente in quella brutta storia. Era rimasto sorpreso anche lui per il gesto
del fratello. Gli aveva letto ancora incredulità e sorpresa sul viso, quando Damasu
era fuggito via, e lui finalmente, passato quel drammatico istante, si era reso conto di
tutto e si era guardato attorno, per vedere se il pericolo fosse cessato con la
fuga del suo mancato assassino.
«Grazie figlio mio. Mi
aiuti a scegliere due caprette da immolare agli dei delle acque per richiedere
la guarigione di Elki? Sceglile tra le mie, naturalmente».
«Se permettete, padre,
vorrei sceglierne due delle mie. Voglio offrirle io in sacrificio».
«Sì, certo! Agli dei piaceranno
doppiamente!» assentì con intimo giubilo Itzocar. «Mandamele con uno dei servi
alla residenza dei sacerdoti, giù al pozzo sacro».
«Sarà fatto».
«Vienimi a trovare coi tuoi figli quando
sarai rientrato dai pascoli».
«Va bene», rispose Rumisu
salutando il padre, che subito si avviò in direzione del pozzo sacro.
Il sole adesso era già ben
visibile all’orizzonte e illuminava il villaggio che piano, piano riprendeva
vita. I pastori lasciavano le capanne, dopo averle rifornite del latte per la
colazione e adesso si sarebbero recati ai pascoli con le loro greggi, mentre le
donne avrebbero provveduto alle loro incombenze domestiche. Questa era la vita
del villaggio, da tempo immemore; neanche le feste e le cerimonie, pur
frequenti e attese dagli abitanti, riuscivano a cambiare.
Le capanne occupate dai
sacerdoti si estendevano tutt’attorno al pozzo sacro, come per proteggere il
regno degli dei delle acque. Lì era stato sistemato il fido amico Elki. Chissà
come aveva trascorso la notte, l’uomo che gli aveva salvato la vita. Sua moglie
era certo che quel gesto di protezione fosse stato premeditato dal grande
sacerdote. Non aveva saputo o voluto predisporre alcun’altra difesa contro quel
parricidio annunciato; per paura che allertando le guardie coinvolte nel
complotto, i traditori potessero essere messi sul chi vive e magari decidere
una modalità più complessa per il loro sanguinario piano. Elki aveva valutato e
voluto il vantaggio della sorpresa che i suoi dei gli avevano offerto; e
l’aveva sfruttato, a rischio però della sua stessa vita. In cuor suo fu grato
all’amico e al sacerdote che aveva rischiato la sua vita per lui. «Gli dei
danno e gli dei prendono», pensò ancora. Per un uomo che lo voleva morto, ce
n’era stato un altro che lo aveva salvato dalla morte. Solo che il primo era suo
figlio! Quel pensiero sembrò afferrargli il cuore e strizzarlo sino ad
espungervi tutto il sangue, in uno stillicidio infinito. Sarebbe mai guarito da
quell’afflizione?
Ma adesso occorreva
reagire! E subito! Ci sarebbe stato tempo per piangere, dopo! Adesso doveva
stanare tutti i traditori che si celavano nel villaggio.
Damasu non poteva aver
agito da solo. Non era un pazzo. Gli venne in mente che in quel terribile
istante, in cui lui lo aveva colto, subito dopo il gesto omicida, per una
frazione di secondo suo figlio aveva indugiato con lo sguardo rivolto alla
folla, come se si aspettasse un aiuto concreto, un sostegno, un intervento in
suo favore. A chi aveva rivolto suo figlio quello sguardo che cercava soccorso?
Evidentemente doveva sapere che in mezzo alla folla c’erano delle persone che
stavano dalla sua parte; ma queste persone chi erano? E perché non erano
intervenute in suo aiuto?
Cercò di sforzarsi di
ricordare: lo sguardo di Damasu che cercava soccorso si era diretto alla sua
sinistra, verso uno dei due ingressi del recinto sacro, quello settentrionale,
da cui era rientrato, seguito da una moltitudine di persone. Oltre al suo seguito,
tutti quelli che si erano accodati a lui, all’ingresso nel recinto; mentre gli
altri, quelli alla sua destra li aveva trovati già schierati, quando si era
diretto al sedile a lui riservato, nella serie ininterrotta che correva lungo
la circonferenza del recinto in pietra. Era impossibile battere la pista della
memoria. Ci voleva qualcos’altro per ricostruire quei terribili eventi.
Sembrava che Manai, il
numero due della gerarchia sacerdotale del villaggio, lo aspettasse, quando
giunse in prossimità del pozzo sacro.
«Come ha passato la notte
il nobile Elki?» gli chiese subito il re dopo i convenevoli di rito.
«L’ho vegliato tutta la
notte. Sono riuscito a cacciar via il demone del ferro che gli ha morso le
carni: a forza di impacchi di acqua fresca del pozzo; poi gli ho indotto il
sonno con un decotto a base di acacia, cardo, genziana e melissa. E gli sono
stato al fianco tutto il tempo».
«Ha parlato?», chiese
ancora Itzocar con un gesto di apprezzamento per le cure profuse all’uomo che gli
aveva salvato la vita.
«Solo frasi senza senso,
prima che io gli levassi l’eccessivo calore dal corpo».
«Ce la farà?» domandò poi
osservando il suo amico sacerdote che dormiva con un viso disteso.
«Credo di sì. Gli dei
sono con lui e ha un fisico ancora forte».
«Intendo offrire due
capretti agli dei dell’acqua per la sua guarigione. Poi ho bisogno di riunire
il Gran Consiglio. Puoi presenziare al posto di Elki?»
«Sarà un onore per me presenziare,
o re di Kolossoi! Mi farò sostituire al capezzale di Elki e verrò subito dopo
il sacrificio».
«Bene, disse Itzocar! »
avviandosi. «Ecco il servo di Rumisu che giunge a proposito! Ti aspetto nella
sala delle udienze, subito dopo il sacrificio agli dei delle acque! Bada di non
contraddirmi se dirò che Elki ha fatto dei nomi!»
«Non oserei mai fare una
cosa del genere, mio re!» rispose Manai.
Anche se il potere
religioso godeva di una certa indipendenza, il
capo tribù Itzocar era considerato al di sopra di tutti gli uomini del
villaggio. Solo gli astri e gli dei potevano più di lui, sulla terra.
I live in Italy with my wife, our two daughters and a cat called Shiwon. I'm a teacher and a lawyer. I like reading and writing. My best items are for fiction, poetry and theatre. I'm a great dreamer though I'm not young anymore (anagraphically at least). I also like movies such as spy stories and action's movies. One of my best are English 007's movies.
In questo ponte della Festa di tutti i Santi mi sono recato in pellegrinaggio a Roma con l'UNITALSI. L'itinerario prevedeva la vis...