venerdì 16 ottobre 2020
I Thirsenoisin - 5
Al mattino Anù chiese di essere ammesso al raduno settennale delle tribù nuragiche. Dopo i primi tre giorni di lavori, era già tempo di conclusioni. I capitribù erano ansiosi di sentire da Anù i messaggi inviati dagli dei dell’oltre tomba.
«Gula ha incontrato Baba, la dea madre. Baba l’ha accompagnata nel viaggio.» disse Anù, appena Hannibaàl gli ebbe concesso la parola.
Un coro di assenso seguì stupefatto a quelle parole. Incontrare la dea madre durante l’incubazione era un segno di grande favore. Anche i capi tribù lo sapevano bene.
Itzoccar era considerato il più autorevole dei capi e chiese per primo la parola.
«Che cosa le ha mostrato Baba, nobile Anù?» Tutti tacquero in attesa del responso.
«Due grandi e possenti aquile si leveranno dall’est. Questo accadrà quando saranno trascorsi tanti cicli quanti sono quelli che io conto dalla fondazione del regno di Gisserri.» Tutti si sorpresero a domandarsi che significato avesse una tale indicazione temporale. Forse qualcuno ne intuì il senso, ma nessuno osò interrompere. Anù non aveva ancora finito.
«Un’aquila divorerà le tombe di Iolao e dei nove figli di Eracle; l’altra svuoterà la mia testa di tutto il suo contenuto.» Aggiunse Anù in tono asciutto. Sembrava che la cosa non lo turbasse affatto.
I presenti, invece, questa volta, non poterono trattenere un’esclamazione di orrore. Chiunque capiva che si trattava di un segno esplicitamente funesto.
«Tutto questo quando accadrà?» chiese Nadal, il capo della tribù di Genna ‘e Maris, in tono preoccupato.
«Aspetta, potente, Nadal. Consentiamo ad Anù di completare il suo racconto», interpose Hannibaàl, che come capo tribù ospitante era titolato a farlo.
«Alla fine del sogno le due aquile non sono tornate a oriente ma sono scomparse verso occidente, inghiottite dal sole che si tuffava nel grande mare. Poi Gula si è svegliata! Forse avete udito il suo grido!»
«Mi sto chiedendo il senso di questo sogno» disse Garonna, il capo della tribù di Nurra, come se parlasse a se stesso.
«E soprattutto quando accadranno questi eventi!» ripetè Nadal, sempre con lo stesso tono preoccupato.
Anù sembrava assente. Aveva finito il suo resoconto ed era immobile, con tutti gli occhi puntati addosso.
«Puoi spiegare il senso delle visioni avute da Gula, nobile Anù?» gli chiese Hannibaàl.
« Non sono forse le due aquile, i due Arconti della città Shardana di Nora?» propose il bellicoso Kalledda, uno dei capi tribù fautori della guerra senza tregua contro gli Shardana.
«Non so cosa rappresentino le due aquile ma so che una di loro, la prima, distruggerà nove delle città Shardana. I nove tespiadi rappresentano infatti proprio gli Shardana. Solo quattro delle tredici città oggi esistenti si salveranno; non so se Nora sarà tra le fortunate! »
Adesso le emozioni dei capi virarono nuovamente verso il consenso. Quel vaticinio non era per niente negativo, se prevedeva la distruzione di nove delle nemiche acerrime del popolo nuragico.
«E la seconda aquila?» chiese Gonario, della tribù di Mumutzu, che si estendeva dai primi contrafforti collinari meridionali sino alle foreste del centro nord ; Gonario aveva dei profondi legami di amicizia con Anù.
«La seconda aquila distruggerà la nostra civiltà, la nostra storia, la nostra memoria; ma le nostre regge e i nostri villaggi sopravviveranno alle due aquile.
«Ma tutto questo, quando avverrà?» esclamò ancora una volta Nadal, al culmine della sua esasperazione.
«Io conto, nella mia mente, circa 750 equinozi di primavera, dalla fondazione del nostro regno, ai nostri giorni; li ho tutti registrati qui, nella mia testa, insieme ai capi che hanno governato: e per ciascuno dei capi, il numero degli equinozi di primavera a cui ha preso parte; in totale fanno esattamente 753 equinozi; Baba ha suggerito a Gula che ne passeranno altrettanti, prima che le due aquile sovrastino con le loro possenti ali le nostre terre.»
Nadal, a quella spiegazione, emise un sospiro che sembrò di sollievo. E non fu il solo.
«Ma alla luce di questa predizione, noi cosa decidiamo?» chiese Ruju, in rappresentanza delle tribù nuragiche nord.
«Questa è una decisione che spetta a voi, potenti capi delle tribù. Io debbo andare da Gula. È ancora molto debole e potrebbe avere bisogno di me.»
«Vai pure Anù! Che gli dei ti siano sempre amici!» gli disse Hannibaàl.
«Che gli dei illuminino le vostre menti per le giuste decisioni dei nostri popoli. Spero di potervi salutare alla vostra partenza» rispose Anù avviandosi all’uscita, seguito dagli sguardi ammirati e solidali di tutti i capi tribù.
I lavori proseguirono spediti. Il giovane Kalledda si ritrovò solo, ma sempre meno convinto, a propugnare una guerra che nessuno voleva veramente.
Mannai, il capo della tribù di Kurkuris, fece un intervento che piacque molto.
«Fratelli!» - esordì «Se le due aquile, qualunque potere esse rappresentino, distruggeranno insieme nove città Shardana e la nostra intera civiltà nuragica, questo significa che, in qualche modo, i destini nostri e dei Shardana, sono comuni. E allora perche farsi la guerra?»
«Certo se sapessimo quali sono le città Shardana che si salveranno, quasi, quasi, converrebbe insediarsi nei loro pressi e cercare di impossessarsene!» disse Itzoccar. Anche questa riflessione piacque molto ai capi tribù, anche se Hannibaàl obiettò che le loro regge e i loro villaggi, secondo il vaticinio riferito da Anù, sarebbero state più sicure.
Alla fine, dopo un altro giorno e mezzo, passato a discutere, fu deciso di continuare con una politica attendista, fatta di aperture ai commerci e ai contatti culturali, ma con la guardia sempre alta e attenta. Il vaticinio di Gula, infatti, si proiettava nel futuro, ma niente diceva dell’oggi e del domani. E se i Shardana avessero tentato di espandere i loro confini a danno dei loro villaggi, chi li avrebbe difesi?
Fu deliberato pertanto di non deporre le armi e di continuare a educare i giovani nel rispetto delle antiche tradizioni, esercitandoli e preparandoli alla guerra, come se avessero dovuto subire un’invasione da un momento all’altro.
Ruju riuscì a convincere gli altri capi dell’opportunità di mantenere dei contatti con i capi delle città Shardana, gli Arconti e i Senatori, inviando dei messi in segno di pace, per avviare un dialogo di amicizia. Fu un importante passo avanti sulla via della convivenza, anche se la decisione non piacque proprio a tutti.
La proposta comunque passò a larga maggioranza.
La sera prima della partenza, rientro Arca Salmàn, a dorso di un cavallo della Giara e con al seguito due cavalli che trasportavano un cervo e un cinghiale femmina. Fu festeggiato dai suoi amici e da tutti i capi.
Nel piazzale circolare della reggia, vennero arrostiti numerosi cinghiali e i capretti e il vino fu servito a fiumi. Si festeggiò così la conclusione del raduno, l’equinozio di primavera e il rientro di Salmàn.
I giovani principi organizzarono dei balli al suono delle launeddas, delle cetre e dei tamburi.
Itzoccar e Hannibaàl annunciarono il fidanzamento di Aristea, principessa di Kolossoi con l’erede al trono di Gisserri. Quella fu l’apoteosi della festa. E mentre i giovani ballavano, i vecchi attorno al fuoco raccontavano le loro antiche storie, augurandosi che mai esse si sarebbero dovute dimenticare.
Forse qualcuno dei giovani avrebbe proposto di introdurre la scrittura, come si usava presso i Shardana e altri popoli lontani, per registrare sulla pergamena o sulle tavolette quei loro racconti. Ma nessuno dei vecchi pensò di interpellare i giovani. E poi, le loro storie erano così tante, che sarebbe stato impensabile trascriverle tutte quante. Senza contare che se si fossero un domani smarrite quelle pergamene, o fossero state rubate quelle tavolette, chi sarebbe stato capace di ricostruire la storia dei Thirsenoisin, i costruttori delle torri eterne?
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