Proprio
in quell’anno mi ero accorto di avere sbagliato scuola: la Ragioneria e la
Tecnica Commerciale, materie di indirizzo, mi annoiavano a morte, mentre
studiavo sempre più volentieri l’italiano, la storia e le lingue straniere; per
fortuna iniziammo a studiare il diritto e l’economia; tutto sommato potevo
sopravvivere senza cambiare scuola;
avrei studiato anche le materie professionali, almeno il bastante per arrivare
alla sufficienza.
D’altronde
non è che i professori potessero ammazzarci di studio. Qualcuno l’avrebbe anche
voluto (noi li chiamavamo “fascisti e reazionari”) ma ormai eravamo troppo
impegnati nella lotta contro le vecchie istituzioni scolastiche e chiedevamo a
gran voce di essere arbitri dei nostri destini. I nostri professori e le
istituzioni più in generale, dal Preside sino al ministro della P.I.
(quell’anno, se le fonti e la memoria non mi ingannano era il democristiano Misasi),
d’altro canto, si scoprirono abbastanza impreparati a fronteggiare quella
protesta rumorosa e convinta, tanto più
incontrollabile, quanto più essa era sorta in maniera spontanea e non
organizzata.
Il
terzo anno, nella Ragioneria, così come, credo, in tutti gli
istituti superiori, è un anno cruciale.
Intanto
di solito si cambia di corso (io infatti fui trasferito dal corso F al corso
D). In secondo luogo si studiano delle materie del tutto nuove.
Così
fu anche per me in quell'ottobre del 1970.
I miei
nuovi professori erano assai diversi tra loro. Intanto c'erano quelli delle
materie così dette di indirizzo: Ragioneria e Tecnica (che trattava tre
specializzazioni diverse nel corso del triennio: commerciale, mercantile e
bancaria); oggi, nella moderna ragioneria le due materie sono state unificate
sotto il nome di Economia Aziendale, ma all'epoca, come dicevo, vi erano due
materie e due insegnanti. Il professore di Ragioneria era un uomo tutto d'un
pezzo. Si chiamava Murru. Quando entrava in classe noi ci levavamo tutti in
piedi, in segno di saluto e di rispetto (ma lo facevamo per tutti i docenti
indistintamente). Col braccio destro levato in aria e la mano tesa ci ordinava
di sedere senza pronunciare parola. Ma i suoi occhi chiari e freddi
scrutavano attenti tutta la classe; quello sguardo era eloquente più di
qualunque parola, così come quel saluto solenne e ormai fuori moda: se
non parlo io che sono il capo, sembrava dire il bellicoso professore di
ragioneria, perché dovreste farlo voi, che siete dei poveri studenti, ancora
senza arte né parte ( e chissà se mai ce l'avrete con quei cappellacci lunghi e con quelle minigonne)?
Si
lavorava in silenzio e sodo. Io mi ero rassegnato, dopo due anni di latitanza,
ad occupare il primo banco (sempre per via della storia che i piccoletti
dovevano stare avanti).
Da
lui, oltre al saluto caratteristico ricordo altre due cose: la prima è che
ripeteva spesso che i sindacati, soprattutto quelli di fede socialista,
sono la rovina dell'Italia (narrava, a metà tra il serio ed il
faceto, che i sindacalisti erano dappertutto e che se uno di noi, un domani,
rientrando a casa, avesse scovato nell'armadio o sotto il letto un uomo, non ci
sarebbe stato alcun bisogno di chiedergli i documenti: si sarebbe trattato di
un sindacalista di fede socialista); la seconda era la tecnica che aveva per
ricordare gli articoli del codice civile (questa tecnica mi tornò poi utile
anche all'università per memorizzare i quattro codici); un giorno che ci
spiegava il contratto di società, citando l'art. 2247 c.c., disse che ricordava
quel numero facilmente, essendo nato nel 1922 ed essendosi poi sposato nel
1947; e faceva queste associazioni per tutti o quasi gli articoli del codice
civile; così, concludeva, li aveva potuti memorizzare tutti.
Della
sua materia non ricordo un beato picchio. Non mi piaceva (forse perché non mi
piaceva lui; o magari, viceversa, non mi piaceva lui, perché mi era antipatica
la sua materia).
Era un
uomo freddo e distante; sicuramente preparato (si intuiva che nella sua materia
non era uno sprovveduto), non vi era però alcuna emozione nel trasmettere la
sua scienza.
Quando
anni dopo, sono divenuto un insegnante, ho messo l'emozione e la passione al
pari con la preparazione e la conoscenza; ma io ho sempre amato le materie che
ho insegnato; ho amato e amo insegnare, anche se adesso lascerei volentieri il
posto ad uno più giovane (ma pare che la riforma Fornero-Monti mi abbia
bloccato in cattedra sino a 67 anni!).
E'
vero anche che i tempi sono cambiati. Oggi i giovani non accetterebbero quella
severità e quella distanza glaciale che ci separava dai nostri
professori!
Io
pendevo dalle labbra dei miei professori perché volevo imparare da tutti e di
tutto! Ed ero come una spugna, desideroso di apprendere!
Oggi i
giovani hanno a portata di click, tramite il PC o il Tablet, o meglio ancora l’
I-phone e il cellulare, tutto lo scibile possibile e immaginabile in qualsiasi
campo della scienza e di ogni altro campo della vita!
Altro
che giornaletti e fumetti! Altro che sognare "Le Ore!" Adesso bastano
tre lettere sulla barra di Google e tutto il bello e il brutto della vita ti si
spalanca davanti agli occhi!
Peccato
che questi giovani, troppo spesso, facciano un uso distorto e superficiale di
questa portentosa invenzione chiamata Internet; di questa rete infinita di
autostrade e sentieri, di valli e praterie, percorsi aerei, marini e terrestri
che si chiama WEB!
Io
ammiro davvero l'ingegno umano! Ma ripeto ancora: meno male che gli altri
uomini non sono come me! Altrimenti altro che World Wide Web! Noi saremmo
ancora nelle caverne, arrostendo il frutto della caccia e nelle interminabili
sere d'estate, siederemmo ancora attorno al fuoco, ad ascoltare dai poeti
erranti, le vicende antiche delle nostre genti, tramandate oralmente di padre
in figlio, da maestro a discente, da poeta ad allievo!
Continua...
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