giovedì 11 ottobre 2018

Memorie di scuola - Seconda parte



Arrivai in  caserma a pomeriggio inoltrato,  in quel 15 luglio 1974. C’era un via vai molto animato, quasi frenetico, all’ingresso. Faceva ancora molto caldo. Mostrai i miei documenti alla guardia. Si avvicinò anche un graduato a controllare. Mi fecero cenno entrambi di raggiungere il piazzale che si vedeva oltre l’ingresso in cemento e di presentarmi al responsabile del mio corso, che mi aspettava. Non mi sfuggì lo sguardo d’intesa tra i due, che osservavano divertiti il mio abbigliamento da civile e, soprattutto,  le mie nere e lunghe chiome.
-          “ Anche il barbiere ti sta aspettando”- mi gridò dietro la guardia, mentre già mi ero avviato.
Il taglio dei capelli, come intuivo e come ebbi conferma di lì a poco, costituiva un vero e proprio rito di iniziazione alla naja.
Con i capelli cadeva  simbolo principale della laicità di allora.
Nel sentire comune (e mio padre non faceva certo eccezione) i capelloni erano il cancro della società, i responsabili del degrado e della deriva morale. Ai capelli si associavano inoltre, più o meno impropriamente, tutti i mali presenti nella società contemporanea: la promiscuità e la liberta sessuale, l’uso di droghe e l’anarchismo.
A me delle droghe non me ne poteva fregar di meno (all’epoca non sapevo neanche cosa fossero esattamente); degli anarchici  sapevo soltanto che ogni volta che c’era qualcuno da sacrificare come capro espiatorio, essi costituivano la preda ideale. Così era stato per Sacco e Vanzetti in America e lo stesso si era verificato per Pietro Valpreda e per Giuseppe Pinelli in seguito alla misteriosa vicenda della strage di Piazza Fontana, avvenuta a Milano  nel 1969 (l’atto terroristico che diede il via alla strategia della tensione in Italia, come ho già avuto modo di segnalare all’attento lettore nel primo volume di queste mie memorie).
Sulla libertà sessuale, avrei voluto invece dire la mia. E cioè che io ero convinto della legittimità in capo ai giovani, non solo di portare i capelli lunghi, ma anche di praticare la più estesa e variegata libertà sessuale che si potesse praticare, senza limiti e limitazioni e in base ai gusti sessuali di ciascuno.
Ma agli occhi dei matusa benpensanti e dei borghesi (come io confusamente chiamavo tutti quelli che non portavano i capelli lunghi e non amavano la musica Rock) i capelloni erano un male da estirpare per riportare la pace nelle famiglie, l’ordine sociale e l’igiene pubblica (tra le altre accuse ai capelloni veniva mossa quella di essere sporchi e di convivere con le pulci, i pidocchi e le piattole nella testa).
E quel taglio barbaro e selvaggio praticato in caserma come primo atto del servizio (prima ancora dello stesso atto di arruolamento amministrativo e prima ancora della consegna della divisa, delle coperte e delle lenzuola per allestire la branda militare)  era una vendetta e un atto di riparazione sociale allo stesso tempo.
Lo Stato e la società civile si riprendevano in un colpo solo quei giovani sfuggiti agli schemi predisposti, ribelli all’ordine costituito, sognatori di un mondo utopistico fatto di idealismo egualitario, di viaggi veri e di avventure  psichedeliche, di una vita senza regole, di una condivisione comunitaria che sovvertiva i principii del capitalismo, minando alle basi l’ordine sociale vigente.
I più scatenati e reazionari arrivavano a evocare le purghe, i manganelli e le forbici tosa pecore, da mettere in azione magari il sabato mattina in tutte le scuole di ogni ordine e grado, reintroducendo come materie obbligatorie  la ginnastica mattutina, i corsi di igiene personale e l’educazione sanitaria.
I moderati si limitavano a propugnare un divieto di portare i capelli lunghi per i dipendenti pubblici e la chiusura delle discoteche.
I politici democristiani e quelli che via, via gli  si associavano, prima nel centro sinistra, poi nelle formule quadri e pentapartitiche, facevano finta di ascoltare e di assecondare tutti quanti ma poi lasciavano correre. L’importante, in fondo, era che potessero continuare a gestire il potere. I loro tutori americani, terrorizzati che il comunismo potesse scalzare la democrazia cristiana e i suoi alleati di sicura fede atlantica, a vendo conosciuto e gestito prima di loro il fenomeno della contestazione giovanile ( sin dalla prima ondata dei figli dei fiori dei primi anni sessanta e sino alle contestazioni contro la guerra del Viet-Nam, che di lì a poco sarebbe finita con la sconfitta clamorosa degli Yankees), consigliavano di non prendere troppo di petto il fenomeno, lasciando che le menti più argute e coraggiose si spegnessero e si annullassero negli infiniti meandri delle droghe pesanti (soprattutto il micidiale acido lisergico, noto con l’acronimo LSD e l’eroina, pericoloso derivato dell’oppio); il tempo avrebbe fatto il resto, reinserendo i superstiti nei ranghi delle  regole consumistiche  e produttive.
I comunisti, eternamente all’opposizione nei governi nazionali, cominciavano ad assaporare il potere nei livelli intermedi (soprattutto dopo  la partenza delle regioni, avvenuta di fatto nel 1971) e sembravano strizzare gli occhi, insieme ai radicali,  a tutti questi contestatori di variegata natura.
Certo la sinistra, in quegli anni, costituiva una grande attrattiva per tutti quei giovani che non si riconoscevano nell’immobilismo democristiano e, ancor meno, fuori dall’arco costituzionale (dove a vario titolo stazionavano i nostalgici del ventennio fascista).  
Molti giovani contestatori però, poco a poco, delusi dalla sconfitta del sessantotto, si organizzarono in gruppi extraparlamentari che ricorsero alla violenza come strumento di lotta, affascinati dalle sirene del comunismo rivoluzionario e proletario.
Come abbiano operato questi gruppi terroristici lo abbiamo visto tutti. Sono stati sconfitti dallo stato di diritto ma anche dalla storia e dalla stessa classe operaia sulla quale essi contavano per la vittoria finale del proletariato. Erano talmente impreparati e disperati che non si accorsero neppure di essere stati fagocitati dai servizi segreti americani. Ammazzando Moro, nel 1978, tolsero le castagne dal fuoco agli emissari degli U.S.A. che operavano già in Italia per sbarrare la strada del potere ai comunisti.
Né mancò la risposta destrorsa alle sinistrorse Brigate Rosse e ai Nuclei Armati Proletari. A destra si formarono infatti i NAR ( Nuclei Armati Rivoluzionari) e Ordine Nero.
Ci fu un momento in Italia, in cui questi gruppi extraparlamentari si erano alleati contro i gruppi politici parlamentari per travolgerli, con l’accordo che una volta sconfitti quelli, ci sarebbe stata la resa dei conti tra di loro perché avesse dovuto gestire il potere.
Messo a fuoco un simile clima sociale, con attentati e bombe a ripetizione, la sensazione di impotenza che indubbiamente aveva trasmesso  il fallimento degli ideali rivoluzionari ma pacifici del sessantotto, l’immobilismo in cui si dibatteva il potere politico parlamentare, forse non sorprenderà poi tanto il paziente lettore il fatto che io mi fossi ritrovato, confuso e frastornato, ad assolvere anzitempo il mio servizio obbligatorio di leva, onde avere poi la via sgombra per altre, allora impensate risoluzioni.
E scusandomi per la lunga digressione vorrei così tornare a parlare proprio del servizio militare che in quel pomeriggio avanzato del  15 luglio 1974 avevo appena iniziato.
5.      Continua…
La parte prima del libro, che va dal 1960 al 1973 si può acquistare in tutti gli store oppure direttamente al link dell'editore: https://www.youcanprint.it/biografia-e-autobiografia-generale/memorie-di-scuola-9788827845486.html

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