Quinta Ragioneria
Anno scolastico 1972-73
Se mi
chiedessero oggi, in forza di quale sfrontatezza o coraggio, in nome di
quale diritto o in base a quale dovere, in quell'ottobre del
1972, io mi misi a capo degli studenti della mia scuola e,
insieme ad altri coraggiosi e sfrontati del
movimento studentesco delle scuole superiori, ci mettemmo ad organizzare
scioperi, occupazioni scolastiche e cortei per le strade cittadine, non saprei
cosa rispondere.
O
forse risponderei che io sentivo di vivere intensamente uno di quei
momenti, ciclicamente ricorrenti nella storia dell'umanità, in cui delle forze
ancestrali e misteriose, sembrano muovere delle masse umane contro il potere
costituito, illudendole di poter alfine spezzare quei vincoli invisibili che li
costringono a seguire per una strada già segnata, senza alternativa e
senz'altra scelta che quella, per essere finalmente protagonista della tua
storia , della tua vita, del tuo destino. E allora, come un'aquila che spicchi
per la prima volta il suo volo dalle sommità di una vetta, trattieni il respiro
e poi ti lanci nell'aria, per vedere se le tue ali son capaci di volare, per
vivere realmente o morire.
Oppure,
più prosaicamente, risponderei che i vecchi leaders si erano diplomati e se non
avessi preso io le redini in mano, tutto si sarebbe fermato. E io non volevo
che quel sogno di riscatto e di libertà, in cui ormai credevo ciecamente,
finisse soltanto perché io non avevo trovato la forza o l'ardire di
continuare quella lotta che sentivo giusta e sacrosanta.
Per
capire meglio quegli anni e quei sentimenti occorre ricordare che mentre in
Francia il movimento del ‘68 si è
accontentato della testa del generalissimo De Gaulle (ed è finito con la caduta
della sua onorevole testa); e che se in
Inghilterra la rivoluzione è stata subito assorbita e metabolizzata nel tessuto
di concessioni e miglioramenti economici e sociali che la classe politica
astutamente e prontamente ha concesso ai giovani ed ai proletari in rivolta
(qualcuno ha scritto che la nobiltà inglese soffre ancora la sindrome della
ghigliottina del ‘98, per cui, pur di tenere la testa ben salda sul collo, e le
rendite parassitarie intatte, è pronta a cedere ad ogni richiesta che la Casa
dei Comuni, l’unica Assemblea elettiva e realmente rappresentativa, avanzi in nome del popolo
sovrano); e che se infine le diverse
dittature hanno soffocato nel sangue i
rigurgiti rivoluzionari degli spagnoli e dei paesi dell’est europeo, in Italia la
rivoluzione sessantottina è stata soltanto l’inizio di un lungo e sofferto
cammino che i giovani della mia generazione
hanno percorso e vissuto attraverso diverse tappe; un decennio
terribile, iniziato nella gioia e nei colori del ’68 (che, a sua volta,
affondava le sue radici nella rivoluzione dei figli dei fiori di San Francisco
e dintorni, della metà degli anni
sessanta, poi diramatosi in mille rivoli, a Berkeley, a Seattle, a Woodstock) e
sviluppatasi negli anni successivi nelle lotte politiche e nei movimenti della
sinistra extra-parlamentare, per sfociare infine nelle sanguinarie azioni dei
gruppi armati, la cui deriva politica e storica, può farsi risalire al rapimento e alla barbara
uccisione dell’onorevole Aldo Moro (1978), la vittima innocente, l’agnello
sacrificale, il capro espiatorio di una classe politica cinica e corrotta che
ha segnato un’epoca.
Insomma
l’Italia, forse anche a causa della sua instabilità politica, di quel suo
essere una terra di confine ideologico, dove ancora si fronteggiavano due
partiti di opposte ed inconciliabili vedute politiche (la DC ed il PCI) che
facevano capo ai due blocchi allora predominanti nel mondo (la Nato ed il Patto
di Varsavia), fu teatro di uno scontro interno in cui alle schegge impazzite di
una sinistra ormai decisa a rompere
definitivamente il cordone
ombelicale che la legava a Mosca, per entrare a far parte delle forze di
governo, risposero le manovre occulte di apparati dello stato, collusi e
manovrati dai burattinai americani, per niente convinti della buona fede dei
comunisti, anzi diffidenti che la loro manovra fosse un cavallo di Troia i
cui fili erano mossi dai sovietici per espugnare Roma e successivamente minare
alle basi e dall’interno la stessa Alleanza Atlantica.
Solo così si spiega il triste epilogo del
tentativo di Aldo Moro di traghettare i comunisti italiani nell’area di
influenza ideologica occidentale. Ma i grandi uomini e i grandi progetti spesso
vengono equivocati ed interpretati con diffidenza dagli animi affetti di
piccineria e dagli uomini offuscati dalla sete di potere.
Ma su
Aldo Moro e sul 1978 tornerò ancora, se il lettore vorrà seguirmi. Adesso siamo
ancora nel 1972, anche se molti avvenimenti di quell’anno sono come un preludio
degli avvenimenti futuri, come d’altronde è per ogni vicenda umana.
continua...
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Interessante:nel 1972 avevo 15 anni e anch'io volevo cambiare il mondo...poi è il mondo che ha cambiato me
RispondiEliminaGrazie del tuo commento. Mi fai venire in mente una vecchia canzone di Guccini che si intitola, mi pare, "Le osterie di fuori porta". Non possiamo essere sempre gli stessi; forse è naturale evolversi con L'andare del tempo. Io spero almeno di invecchiare come il buon vino. Saluti.
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