domenica 26 giugno 2022

Il commissario De Candia indaga-24

 

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Capitolo Nono 

Il sovrintendente Farci decise che sarebbe stato meglio andare a trovare Ninni Girau alias Sa Mantininca da suo cognato, che aveva un’officina da carrozziere dietro il cimitero di San Michele. Alessio Farci aveva pensato  che se lo avesse cercato a casa sua, nella zona di via Premuda, invero non distante dal cimitero, sarebbe stato più facile, per uno svelto come lui, sgusciargli dalle mani. Lì, in campo aperto, lo avrebbe affrontato meglio; tanto più che preferiva intervenire  da solo e non gli andava di scomodare una pattuglia solo per sentire dei testimoni per delle  informazioni sommarie.

Arrivò dunque in borghese e con una macchina civetta. Parcheggiò dall’altro lato del piazzale, al di là di una fitta fila di oleandri e si avviò a piedi verso l’officina. Appena sceso dalla macchina si era subito pentito di avere indossato le scarpe nuove che gli aveva regalato da poco sua moglie. Se le sentiva  strette, forse perché erano nuove e  i piedi presero subito a fargli male. Gli venne in mente un proverbio siciliano che ripeteva sua suocera, alla quale voleva bene per davvero, alla faccia dei luoghi comuni; ma forse questo dipendeva dal fatto che lui aveva perso la madre da ragazzo. I nemici dell’uomo sono tre, soleva ripetere sua suocera, nel suo dialetto siciliano che lui aveva cominciato a capire.  Scarpi stritti, vinu acidusu e pani maffutu, diceva la sua cara suocera. Scarpe strette, vino acetoso e pane ammuffito. Accidenti! Sul vino e sul pane non aveva molte esperienze dirette,  ma sulle scarpe aveva proprio ragione la madre di sua moglie! Meno male che non aveva parcheggiato troppo lontano e che  l’officina dove lavorava il  testimone che doveva sentire, gli  apparve subito in lontananza,   dall’altra parte dell’ampio piazzale  su cui si affacciavano diverse attività artigianali.

Il cognato di ‘Sa Mantininca’, titolare dell’officina,   aveva un tempo fatto parte di un’organizzazione specializzata nel traffico internazionale di automobili; un affare grosso: le auto rubate venivano rimesse a nuovo, con motori truccati e documenti contraffatti e poi rivendute all’estero. Un valzer pazzesco che portava un giro di soldi notevole. La banda era stata sgominata e adesso ‘Bomboletta’, come lo chiamavano tutti, rigava dritto da un pezzo. Aveva mantenuto però un fiuto infallibile per riconoscere gli sbirri, anche se lui, oramai, più dei poliziotti e dei carabinieri, temeva le visite della  guardia di finanza,  dato che praticamente, per far quadrare i conti e per non dare soldi al suo antico avversario, lo Stato, ,  lavorava quasi esclusivamente in nero; quanto a sa Mantininca,  sapeva da un  suo amico avvocato, che un cognato poteva lavorare in officina come familiare, senza bisogno di essere assicurato all’INPS.

«Guarda che sta arrivando la Giusta, o Ninni! Cosa hai combinato di nuovo?» disse Bomboletta vedendo arrivare il sovrintendente con fare indifferente (quelli della mala e gli spacciatori chiamavano ‘la Giusta’ i poliziotti; per i carabinieri preferivano ‘La Pula’, anche se la differenza la conoscevano ormai soltanto quelli della vecchia guardia).

«Niente ho fatto! Magari è qui per te!» si schermì Mantininca subito sulla difensiva.

«Buongiorno! Sono il sovrintendente Farci della Squadra Omicidi della Questura di Cagliari!» disse ai due cognati, che avevano continuato a lavorare come se niente fosse!

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