domenica 6 luglio 2025

Il manuale del perfetto orologiaio

 


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Capitolo Quarto

 

«Ecco, signor duca, nel raffronto tra le due mappe,  si può apprezzare lo sviluppo della capitale in direzione nord», disse l’architetto Biagio Rossetti stendendo sul ripiano del tavolo due ampie carte rilevatrici.

Il duca Ercole I d’Este si era concentrato sulle due mappe della città di Ferrara. Una, di colore giallo, riportava la data del 1471 e ritraeva  la città già ampliata da suo padre Borso; la seconda, di colore bianco e senza data, redatta dallo stesso architetto estense, pur avendo lo stesso formato della vecchia, riempiva la vasta area  che dal Castello Belfiore e dal Palazzo Schifanoia, portava sino al Po di Volano, praticamente al confine con il territorio della  Repubblica di Venezia.

«Non dimenticate di realizzare una possente cinta muraria a ridosso del fiume. Non sia mai che i Veneziani ritentino per quella via, la sortita già fallita per la via del mare», disse il duca, annuendo soddisfatto.

«Se vostra Eccellenza me lo conferma, qui, a ridosso della cinta muraria, io ho previsto la costruzione di una fortezza capace di ospitare una guarnigione fissa di cinquecento soldati e sino a quattrodici bocche da fuoco, puntate sul fiume».

«Confermo. Procedete quanto più speditamente potete», ordinò il potente duca che non vedeva l’ora di vedere la capitale dei suoi domini protetta anche nel punto più debole, quello settentrionale.

Così era iniziata, per volontà del duca Ercole I d’Este, alla fine del XV secolo, la realizzazione della direttrice nord, uno dei due assi ortogonali che abbracciavano lo spazio dell’addizione erculea che univa idealmente Palazzo Ducale alla Porta degli Angeli, a difesa delle incursioni delle temute milizie venete.

 Oltre alla cinta muraria e a un profondo fossato ricolmo dell’acqua di uno dei bracci del delta del Po su cui anche allora si ergeva la capitale del Ducato, scavalcabile soltanto da un agile ponte levatoio, il duca aveva ordinato al grande architetto ferrarese che venisse costruita attorno alla Porta degli Angeli una fortezza militare.

 Ai dodici cannoni a bocca di fuoco 120 voluti da Ercole I, più tardi, suo nipote Ercole II ne fece aggiungere un tredicesimo, il cannone denominato “La Giulia”,  che suo padre Alfonso  aveva fatto fondere con il metallo della statua di Giulio II che i ferraresi avevano abbattuto per festeggiare la  morte dell’odiato papa Della Rovere.

Attorno a quella fortezza si era andato sviluppando, piano, piano, un agglomerato che,  oltre agli alloggi e alle mense dei militari comprendeva tutta una serie di botteghe artigianali, di cascine agricole, di allevamenti di bestiame di diversa natura e numerose magioni, per lo più precariamente costruite con paglia impastata a  mattone crudo a presidio di orti e frutteti che,  numerosi più delle case,  abbellivano quella vasta superficie, nota con il nome di Bellaria,  che si estendeva dalla città medioevale originaria sino alla novella cinta muraria settentrionale e che doveva restare comunque scarsamente popolata ancora per molti secoli.

Questo agglomerato, sorto senza un piano urbanistico preciso, ma che non di meno, aveva conquistato l’altisonante appellativo di Borgo del Barco, aveva creato una fiorente rete economica di scambi e commerci che, grazie ai contributi versati in termini di conferimenti annonari, tributi civili e decime religiose, era riuscita a farsi riconoscere dalla amministrazione comunale centrale dalla quale comunque dipendeva sia, ovviamente, dal punto di vista militare, sia dal punto di vista amministrativo e religioso.

Fra quelle botteghe e baracche del Barco del Duca, come veniva indicato ufficialmente nelle carte, a ridosso di un’enorme  porcilaia con annesso  un macello, di cui si servivano  tutti gli allevatori del borgo,  spiccava una costruzione in pietra dove, per anni, aveva operato una taverna che,  dietro l’ambigua denominazione di “Osteria del  Buon Samaritano”,  ospitava una  casa di meretricio che alleviava non solo le inevitabili solitudini dei soldati di stanza nella fortezza, ma serviva ad allietare anche le noiose serate dei giovani guardiani degli orti e degli artigiani del Borgo.

La taverna era stata chiusa dalle autorità alla fine del 1500, anche se certi documenti sembravano attestare invece la data del 1577,  quando in città erano stati accertati alcuni casi di un morbo che, ai sintomi della peste sembrava sommare i caratteri di una nuova malattia nota con il nome di sifilide. La casa era stata confiscata a seguito di una condanna penale che era stata inflitta ai gestori e proprietari dell’infame osteria, ma il clamore e la paura che quella notizia avevano suscitato in tutta Ferrara erano stati così eclatanti che nessuno aveva voluto più abitare in quella casa, soprannominata dopo la chiusura, la casa colombiana.

Fu lì che il vice legato Pasini Frassoni decise di sistemare l’emissario spagnolo del cardinale Garzia Mellini e il suo seguito. Ed è certo che don Pedro Domingo Mendoza Martinez, se anche avesse mai saputo la storia degli alloggi a lui riservati da quel referente togato, non avrebbe avuto alcuna riserva ad occuparli, tanto più che quella nomea popolare, ai suoi orecchi, sarebbe suonata come un’eco delle prodigiose gesta dei suoi valorosi antenati conquistadores.

 

 

 

 

sabato 28 giugno 2025

San Paolo di Tarso

 

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Io sono Paolo, un Giudeo di Tarso,

città cilicia tra le più importanti!

Il petto di furore aveo riarso

 

contro i cristiani di Giudea, nanti

che Dio mi chiedesse, ché sulla via

mi trovavo di Damasco, per  quanti

 

fustigati aveo ragione, di mia

medesma mano e degl’altri ch’andavo

a perseguire! Ma la diceria

 

che mi vorrebbe poscia tanto bravo,

quanto spietato sarei stato pria,

vorrei condurre al suo corretto enclavo;

 

passi dunque d’ogni soperchieria

l’addebito e d’ogni complicità,

che sia in Giudea oppure in Samarìa,

 

  

per arroganza o cieca volontà,

abbia avuto nelle persecuzioni

dei fratelli ebrei, che alla novità

 

di Cristo subito eran stati proni;

però quello che a me pare più inviso

è che qualcuno fuor dal coro stoni

 

accusandomi anche d’avere ucciso!

No, no, e poi ancora no! Giammai

Il mio braccio fu di sangue nostro intriso

 

Di quei della mia stessa razza! Mai

mi spinse a dar la morte il tanto odio

Che pur covavo allora contro i sai

 

Che, minacciando d’occupare il podio

Supremo dell’avito Tempio, il Verbo

Novello di Gesù, come in allodio

 

Diffondevano intorno. Ero acerbo

Quando i mantelli dei lapidatori

Del primo martire cristiano in serbo

 

  

avevo e quando gli estremi  rigori

Del voto mortale in Sinedrio io davo!

Ma della legge è noto ai più cultori

 

Come non sia punibile lo schiavo

Quando esegua; ed io agivo stretto

Dalla legge, di cui l’antico avo

 

Mosè, a tutti noi  imponea rispetto;

ed  anche io la sentia vincolante!

Nel giusto io mi credea, anzi costretto,

 

ad agire in quel modo di zelante

 gioventù! Di Gesù, figlio di Abbà,

niente sapevo ancora, ma ignorante

 

ero di Lui e della verità

con cui Il Cristo ha illuminato il mondo!

Quando poi cessò in me la cecità

 

M’accorsi che avevo toccato il fondo

E vidi il vero nella sua realtà!

Oh me l’infelice, quando iracondo

 

 


Perseguivo i fratelli con viltà!

Oh me il fallace, che la vecchia via

Sola vedevo di mia volontà!

 

Ebbene, Dio, nella coscienza mia

Non volle che pesasse anche il supplizio

D’aver tolto la vita! E dunque sia:

 

Non mi sottrarrò al vostro giudizio!

Né valga ciò che dopo sono stato

A mio favore! Che sia all’inizio

 

Che sia al prosieguo, io fui destinato

A ciò che in alto fu per me deciso;

nel bene e nel male io l’ho accettato!

 

E se quello a voi apparisse inviso,

io questo l’ho accettato di buon grado

e il mio sentiero di dolore intriso

 

è stato ed ancora è, dovunque vado!

Non siate dunque voi assai severi,

e quando in aria lancerete il dado

 

  

considerate insieme oggi e ieri,

ché la vita di un uomo è un tutt’uno

fatto di azioni e di umani pensieri;


e mentre son le prime  per ognuno

ben palesi, quegli altri solo Dio

li sa pesare, attribuendo a ciascuno

 

il suo giusto tributo! Dunque io,

quando fui scelto per la diffusione,

nel mondo, del nuovo credo, di mio

 

misi, come in passato, la passione

e la coscienza di essere nel vero!

Conosco e vi precedo l’obiezione

 

Che con un simil ragionar, invero,

nessuno potria mai ser condannato,

il bugiardo mostrandosi sincero

 

e l’omicida saria liberato!

Ma conoscevo ben solo una legge

Prima che alla mission fossi vocato!

 

  

Ed era la legge di Mosè! Vegge

Chiunque quindi come fossi giusto!

Vorrei comunque dire per chi legge

 

Questo mio scritto, che il solo disgusto

Di cui serbo memoria di quegli anni

Trascorsi in preda a quel gran trambusto

 

Giovanil, son le torture e i malanni

Che senza pietà arrecavo ai rei

Presunti! Questo tra i diversi danni

 

Riconosco! Lo stesso che i Giudei

Cristiani oggi tentano di fare

A me e a tutti gli altri Ebrei

 

Che sol intendon farsi battezzare,

ritraendosi alla circoncisione!

E dunque il mio invito ad avvicinare

 

Gesù e la Sua nuova religione

Lo perseguo con infinito amore,

giammai con violenza o con restrizione!

 

 

È tempo ormai d’aprire il nostro cuore

Al mondo, come Gesù ci ha insegnato!

Il Verbo del Cristo, nel Suo vigore

 

Non deve più restare limitato

Negli angusti confini d’Israele,

di Giudea e di chiunque vi è nato!

 

E non già con la forza e con il fiele

Si fa la via che a Gesù conduce!

Dispieghiamo spontanei le vele

 

Del nuovo vento di riscatto e luce,

che a Gesù Cristo Il nostro Redentore

e alla Promessa di salvezza adduce!

 

Gesù, morto in croce per nostro amore,

di noi tutti quanti, Ebrei e pagani!

Cerchiamo orsù con entusiasmo e ardore

 

Di collaborare ai Suoi santi piani

Per questa Nuova ed Eterna Alleanza

Che vorrebbe veder, tutti i Cristiani,

 

 

Uniti in una sola fratellanza,

tutti gli uomini e razze della terra!

Valutate voi la vera importanza

 

Della nuova fede in Cristo! Ed erra

Chi non si rende conto che è la pace

La nuova frontiera, non più la guerra!

 

E Gesù Cristo, pur morto, non giace

Ma Egli è risorto! Io, testimone,

apostolo indegno, eppure capace,

 

da Lui sono stato per la missione

giudicato e scelto in prima persona

e incaricato della diffusione

 

del Vangelo, non solo in questa zona

ma in tutto il mondo che sia conosciuto!

E sì farò, sinché non sarà prona

 

La mia volontà e non sia venuto

Il giorno del giudizio universale,

quando completo il mondo avrà saputo

 

 

la Verità che veramente vale

ed il sentier che ognun deve seguire,

lungo la via che al Padreterno sale!

lunedì 2 giugno 2025

Dalla Sicilia al Piemonte

 

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Capitolo Primo

 

 

-         “ Attaccabrighe, donnaiolo e giocatore! Ecco chi è l’uomo che ci ha chiesto la mano di nostra figlia Luigia! Hai capito, Margherita? Lo hai capito?”

 

Donna Margherita guardò senza apparente emozione il viso alterato dalla collera di suo marito. Dopo trent’anni di matrimonio, avendo imparato a conoscerlo, decise di lasciarlo sfogare fino in fondo. Tuttavia trovava ancora simpaticamente buffa quella  sua intonazione  spiccatamente piemontese che nei momenti di ira sembrava ancora più accentuata.

 

- “ E senza contare che è pure siciliano ed ex-garibaldino!” - . L’ avvocato Stranèo si fece cadere sulla sedia con un’enfasi   teatrale, frutto   di una drammaturgia che gli derivava più dalla sua frequentazione delle aule giudiziarie   che da un effettivo sconforto per le notizie che quel biglietto riservato gli aveva recapitate.

 

Donna Margherita lesse quelle poche righe vergate sul foglio che il marito le aveva allungato, prima di sprofondare nella poltroncina in legno dietro la sua scrivania. Gli epiteti poco lusinghieri erano riferiti naturalmente al Capitano Gaspare Nicolosi. E a chi altri, se no? Nessuno prima dell’ufficiale siciliano aveva mai chiesto la mano della loro primogenita Luigia. Anche lei si sedette sul bordo di una delle due sedie, dal lato opposto della scrivania.  Per guadagnare ancora qualche secondo fece finta di leggere, ma voleva solo  studiare la migliore strategia. Il titolo nobiliare lo aveva acquisito dopo il matrimonio con Amedeo Stranèo che apparteneva ad un ramo cadetto di una delle più antiche famiglie nobiliari del Monferrato, da sempre fedelissimi alla casa Savoia.

Margherita era discendente per metà da una famiglia della ricca borghesia mercantile genovese e per l’altra metà, in linea materna, da una agiata famiglia di Tortona.

Dai suoi avi aveva ereditato il senso pratico degli affari, che  aveva intelligentemente trasfuso nella gestione dei rapporti dentro e fuori la casa, insieme ad una maggiore prospettiva nella visione del mondo che, al contrario di quanto accadeva a suo marito, non era circoscritta dai confini del vecchio Regno di Sardegna o, peggio ancora, da quelli dell’ancor più antico Ducato di Savoia. E naturalmente non nutriva alcun pregiudizio sui siciliani e sugli ex-garibaldini. Ma questo si guardò bene dal dirlo. Decise di partire da lontano.

 

-         “ Bella questa grafia! Di chi è?”- chiese restituendo il foglio.

-         “ Del figlio di mio fratello Bartolo, il tenente Giovanni Stranèo, quello che comanda un plotone nel  I° Battaglione Fanteria del Reggimento Crimea, lo stesso dove presta servizio questo capitano Nico non so che!”

-         “ Nicolosi” – disse pazientemente Donna Margherita.

-         “ Appunto!”- interloquì l’avvocato Stranèo, ricordandosi che il nipote gli aveva raccomandato nel P.S. della missiva riservata di distruggerla  subito dopo averla letta. Gettò la lettera sul fuoco che ardeva nel camino. Le fiamme l’avvolsero in un famelico e repentino  boccone.

-         “Il capitano Nicolosi “ – riprese Donna Margherita  con non curanza, avvicinandosi  al  fuoco che il marito aveva cercato di ravvivare, approfittandone per disperdere i residui della recente combustione – “ è però  in forza al II° Battaglione Cavalleggeri !”

-         “ E che significa? Gli ufficiali frequentano tutti lo stesso Circolo ed agiscono sotto lo stesso Comando!”

-         “ Ma è arcinoto a tutti che tra i fanti ed i cavalleggeri del Reggimento Crimea non è mai corso buon sangue!” – replicò Donna Margherita, che non aveva svolto studi specifici in materia militare, ma vi sopperiva con una discreta conoscenza dei resoconti salottieri femminili, cercando di smussare i toni del discorso.

-         “ State cercando di insinuare che un gentiluomo della casata Stranèo può aver confezionato delle baggianate per infangare ingiustamente un collega ufficiale di reggimento?”

-         “ Caro, hai presente la contessa Eleonora Chivasso Canavese?” – Donna Margherita si rese conto subito che era meglio cambiare strategia.

-         “La moglie del conte Edoardo Canavese?” – domandò l’avvocato Stranèo con uno tono di voce improvvisamente più dolce.

 

I conti Canadese erano di casa dagli Stranèo. Il conte Edoardo era compagno di caccia dell’avvocato e la contessa Eleonora faceva parte con Donna Margherita del Gruppo Cittadino delle Dame di Carità di San Vincenzo. Inoltre i conti Canavese avevano battezzato il loro ultimogenito Giacomo.

 

-         “ Sì, proprio lei! Luigia le ha chiesto, in via riservata, si intende, di prendere informazioni ed Eleonora conosce personalmente l’ufficiale attendente  in prima del Comandante del  Reggimento  Crimea! Non è una fortuna?”

-         “ Già, bella fortuna! Se  questo è il risultato della tua educazione a nostra figlia! Ma quando mai s’è visto che una brava figlia prenda una simile iniziativa senza interessare prima i suoi genitori?”

 

“Se non altro è tornato al tu” penso rincuorata Donna Margherita, che sapeva come quel “voi”, che  suo marito aveva imparato ad usare da suo padre nei momenti in cui occorreva  rimettere al posto loro le donne, fosse l’emblema di un estremo disappunto. Adesso, invece, il rimprovero che suo marito le aveva mosso sull’educazione della figlia celava, dietro il tono burbero, una bonaria e rassegnata accondiscendenza.

 

-“ Oh, caro, non te la prendere! Non sono più i nostri tempi. Oggi, anche le figlie femmine, cercano di affrancarsi quanto più possono dal ruolo di subalternità! Del resto, se venisse confermata la predisposizione al gioco del pretendente di nostra figlia, sarei la prima io ad imporle il distacco più radicale di ogni pensiero che lo  riguardi. Mi preoccupo del gioco e non delle brighe, perchè quando un vero uomo dovesse accasarsi, diventano ricordi da ragazzi. Quanto alle  donne, poi, un uomo, se non va dietro alle donne mentre è libero  e solo, che razza di uomo sarebbe mai? Anche tu, Amedeo Stranèo, prima di prendermi in sposa, puoi negare di essere andato dietro alle donne?”

 

L’avvocato Stranèo sembrò convincersi alle parole che la  moglie, con grande garbo femminile, le aveva rivolto, o quantomeno ne sembrò placato. Non volle tuttavia cedere le armi senza un’ultima battaglia.

 

-         “ E cosa farai se ti confermeranno  che si tratta proprio di un siciliano e, per di più, di un ex- garibaldino?”

-         “ Ma Amedeo caro, se il nostro amato sovrano Vittorio Emanuele II°,  ha deciso di inserire gli ex-garibaldini nei ranghi dei suoi migliori reggimenti, proprio noi sudditi dovremmo ribellarci? E non ha forse detto, il Suo stesso Primo Ministro, che dopo aver fatto l’Italia, occorre fare gli Italiani?”

-         “ Eh, già! E tu gli italiani di Camillo Benso li vuoi iniziare a fare in casa nostra?”

-         “ E perché no? “ – rispose Donna Margherita imitando il tono giocoso del consorte.- “ E non ti scordare, infine, che Luigia ha già   ventuno  anni suonati! Vuoi forse che tua figlia maggiore resti zitella, mentre le  sorelle minori saranno già maritate e con prole?”

 

L’avvocato non ebbe nulla da replicare e sua moglie si licenziò con un bacio e con un leggero inchino, che abbozzò quando era già sulla porta. Quell’ultima considerazione si dimostrò decisiva, più avanti, quando si trattò di decidere se accettare o meno la proposta matrimoniale del capitano dei Cavalleggeri, in forza al Reggimento Crimea, di stanza ad Alessandria di Piemonte,  Gaspare Nicolosi da Mazara del Vallo di Sicilia.

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