venerdì 3 gennaio 2025

A su Gorropu

 


Il giorno seguente era giovedì e di buon mattino, come d’abitudine, Dario affiancava Doddore nella cura degli animali e insisteva nella sua intenzione di imparare   a mungere le capre, ma il pastore non era disposto neppure a farlo provare.  Per il resto accettava volentieri il suo aiuto.

Quella mattina stava per l’ennesima volta chiedendogli il permesso sempre negato quando il pastore gli impose di tacere.

«Shhh! Hai sentito?»

«Che cosa?»

«Ascolta!»

Il giovane si fermò con lo sgabellino in mano. Si udì il richiamo di un uccello che a lui parve un suono conosciuto. Subito dopo si udirono i cani abbaiare.

«Questo è Marino» disse Salvatore alzandosi dallo sgabellino e mollando le prosperose mammelle della capra che stava mungendo. L’animale mosse il testone cornuto, che sembrava enorme, forse anche a causa della tosatura di giugno, che rendeva più slanciato il corpo dell’animale.

Quando l’uomo fu sul ciglio della scarpata che guardava a valle, rispose al richiamo. Marino apparve alla loro vista, lasciando l’albero che lo nascondeva ai loro occhi. Si inerpicò lentamente per il sentiero sassoso che portava su all’ovile. La sua salita era resa più difficile da un pesante zaino che gli pendeva sulle spalle e due grandi buste che portava con sé, una per mano.

«Olà, Marì! Dai che ce l’hai quasi fatta!» lo incoraggiò Doddore. Marino gli tese le due sacche che lui passò a Dario e allungò una mano per aiutarlo nell’ultimo tratto di salita.

«Salute a voi!», disse approdando al loro livello e liberandosi del pesante zaino. «Vittorio?»

Come evocato dalla domanda, l’uomo si affacciò sulla soglia e lo salutò con la mano.

«Ciao. Muoviti che c’è un bel caffè che ti aspetta!»

«Bene» disse Marino. «E io ti ho portato i giornali» gli rispose sorridendo.

Nonostante all’ovile ci fosse una piccola radio a transistor e un televisore portatile in bianco e nero, che ricevevano un segnale alquanto debole e pochi canali, quei giornali erano l’unica vera finestra sul mondo e, soprattutto, sulle novità che riguardavano il sequestro di Fabrizio De André e Dori Ghezzi.

I quotidiani che l’uomo aveva portato con sé quella mattina, furono un tuffo al cuore per Dario. Quelli di martedì 28 agosto, ma soprattutto quelli del mercoledì erano pieni di notizie del rapimento di Fabrizio De André e Dori Ghezzi, avvenuto nella notte del lunedì nella residenza dell’Agnata. La coppia era sola al momento del sequestro. Dario lesse con un misto di esaltazione e di preoccupazione i titoli dei giornali ricevuti. “Banditi-padroni in Sardegna: rapiti Fabrizio De André e Dori Ghezzi” riportava a tutta pagina uno di quelli sardi. “Il cantautore De André rapito con la sua compagna in Sardegna” titolava, invece, in maniera più contenuta il più importante quotidiano nazionale.

martedì 24 dicembre 2024

Divinità del Verbo

 


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In principio era il Verbo

E il Verbo era presso Dio,

Il Qual teneva in serbo

Di riscattare il fio

 

Dell’umana corruzione

Mandandoci Suo figlio

Che,  nato da puro Giglio,

È Sua rivelazione,

 

In uno con lo Spirito,

Ma puoi elencarne tre!

Come la Legge  per Mosè

Fu data, la Grazia Cristo

 

Ci ha portato in Verità!

Pur se d’ogni cosa è Autore,

L’uomo, mal conoscitore,

Lo ha trattato con viltà.

 

Ma a color che L’hanno accolto,

Lui li ha resi fratelli

Dandogli i doni più belli,

Senza riceverne molto.

 

domenica 15 dicembre 2024

Uno strano incontro all'Agnata di Faber

 


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Capitolo Quarto

 

Con il tempo Dario, era riuscito a farsi una ragione della morte di quel sindacalista che era caduto nel corso della prima e unica azione terroristica alla quale lui aveva preso parte. Nel corso di numerose riunioni segrete, alle quali aveva successivamente partecipato, si era parlato molto del prezzo di sangue che si sarebbe dovuto pagare sulla via della rivoluzione vittoriosa. Numerose letture avevano poi contribuito a rafforzare le sue convinzioni. Concluse che ormai si trattava di una guerra e senza morti era impossibile da immaginare. D’altronde anche molti dei loro compagni erano caduti sotto il fuoco nemico dei carabinieri e dei poliziotti ed era legittimo rispondere con il fuoco. Il torto era facile da intravedere nello sfruttamento secolare, per non dire millenario, degli operai e dei braccianti, schiavizzati con la schiena piegata sulla terra da coltivare o legati alla catena di montaggio. Mentre i ricchi, i borghesi, i padroni se la spassavano tra belle donne e macchine di lusso, con gli yatch ormeggiati al porto sempre a loro disposizione. Chi lo aveva decretato che lui dovesse appartenere per sempre alla classe degli schiavi? Non aveva forse ragione il povero ad alzare la voce e a ribellarsi? E i ricchi avrebbero ceduto le loro proprietà, il loro potere con le buone maniere, ragionando da buoni fratelli? Col cavolo! Lenin, Mao e Fidel Castro avevano imbracciato le armi ed erano riusciti a riportare l’uguaglianza e la libertà ai diseredati e agli sfruttati di sempre.

 I libri di storia, dopo la vittoria della rivoluzione, gli avrebbero reso quello che adesso i giornali e le televisioni dei padroni gli stavano togliendo in termini di credibilità e ragione.

 Quando a metà giugno partì per la Sardegna, senza dire niente a nessuno, decise che prima di andare a Nuoro per quei contatti con i combattenti sardi per la libertà e l’indipendenza, si sarebbe recato a trovare i parenti di sua madre e forse perfino da Fabrizio.

I parenti di sua madre, a Sassari, lo accolsero davvero con affettuoso calore. In aggiunta al senso di ospitalità, tipico dei Sardi, vi era quel legame di sangue, che li univa, ad amplificare quell’afflato empatico. Angelo, uno dei suoi cugini, che aveva più o meno la sua età, aveva un bel giro di amicizie e anche lì fu accolto con estrema simpatia.

Tuttavia, quando si accorse che una delle sue amiche, con cui aveva più che familiarizzato, si stava troppo affezionando a lui, decise ch’era giunto il momento di staccarsi. Si guardò bene dal comunicare i suoi riferimenti nuoresi e inventò di avere un impegno importante con il suo amico d’infanzia Fabrizio, nelle campagne di Tempio, dove diede appuntamento a tutti quanti, per ritrovarsi e rafforzare i loro vincoli, di qualunque natura essi fossero. All’Agnata ci andò davvero con l’idea di salutare il suo amico Fabrizio e ripartire poi per Nuoro, dove avrebbe preso finalmente i contatti, come da incarico ricevuto.

Da Tempio non fu semplice trovare un passaggio per l’azienda agricola di Fabrizio ma alla fine, a forza di chiedere, trovò un passaggio su un camion che andava lì per prendere il latte delle mucche e portarlo in città. L’estate era già avanzata nella campagna tempiese. Mentre l’autista guidava attento su quelle tortuose stradine, lui respirava a pieni polmoni quei profumi inebrianti della macchia mediterranea. Si sentiva emozionato dall’idea di ritrovare il suo vecchio amico e di vedere come si fosse sistemato nella terra di sua madre. Certo era strano quel suo compagno d’infanzia. Lo era sempre stato, anche se lui aveva sempre attribuito le stranezze del suo carattere, come una bizzarria dovuta alla sua nascita tra i privilegiati e alle eccessive attenzioni che aveva ricevuto in famiglia, soprattutto dalla mamma, sempre pronta ad accontentare quel suo figlio ribelle e capriccioso. Non gli era mai venuto in mente che invece, quelle originalità, fossero frutto della natura artistica di un animo attento e sensibile alla natura. Un ascolto perenne alla vita e ai suoi dettati. Nell’animo di Dario non c’era posto per simili sentimenti. Lui, ormai, misurava tutto con un metro materiale.

Fabrizio fu sinceramente felice di vederlo e di ospitarlo. Quanto a trascorrere insieme del tempo, era un’altra questione. A parte qualche partita a carte, la sera, dopo avere inizialmente ricordato ancora una volta i vecchi tempi trascorsi nei caruggi della città vecchia, non ci furono troppe occasioni. Il suo amico aveva delle abitudini originali, riguardo al tempo. Dormiva di giorno e per lo più lavorava di notte in compagnia della sua chitarra. Le sue note e i suoi versi riempivano il silenzio notturno. Una volta anche Dario si sentì immerso in una nuvola di malinconia, proprio mentre il suo amico cantava ‘Giugno 73’ una canzone che, per sua stessa ammissione, era una delle poche autobiografiche. Fu durante il verso finale “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati” che si ritrovò a ripensare alla sua ragazza finalmente così felice di avere l’apparecchio acustico che aveva risolto il suo problema uditivo che l’affliggeva dalla nascita. Cosa stava facendo ora Bice? Lo amava ancora? Mentre si rigirava nel suo letto si chiedeva se avesse fatto bene a spezzare quel legame tenero e sincero che per un certo periodo era riuscito, almeno in parte, a colmare i vuoti della sua esistenza. Per fortuna il sonno prese subito sopravvento. Non c’era spazio nei suoi pensieri e nel suo animo per simili nostalgie.

Infatti il giorno seguente Bice era già fuori dalla sua testa. Ma Dario non se ne preoccupò affatto.

 La tenuta era così grande che vi si poteva camminare per ore senza trovare anima viva. Un giorno che aveva fatto un lungo giro, dopo aver vagato a lungo tra rupi, boschi e anfratti, mentre si trovava sulla via del rientro, si imbatté casualmente nell’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere. All’inizio non lo riconobbe, sdraiato com’era in mezzo all’erba, pancia a terra, con i binocoli puntati in direzione della residenza De André. Ne distinse il volto come quello si girò di scatto, forse spaventato dal fruscio dei suoi passi.

«Belin, Vittorio, che diavolo stai facendo qui? E cosa fai con quei binocoli?» gli chiese ridendo di gusto.

«Ma che domande del cazzo mi fai? Cosa ci fai tu, qui? Non dovevi essere a Nuoro, boja d’un fàuss! Ho pensato che ti avessero arrestato o che fossi morto da qualche parte» sbottò in tono minaccioso l’altro, per tutta risposta.

A Dario, la risata di prima passò di colpo. Quello lì era incazzato sul serio. Tanto più che dal folto della macchia era apparso all’improvviso un altro uomo. Non era giovane quanto lui e neanche quanto Vittorio. Fu colpito da due cose. Dal suo fisico imponente e dal fatto che vestiva alla sarda, con giacca di velluto e pantaloni di fustagno e con i gambali e la berrita in testa, a completare l’abbigliamento tipico dei pastori, come gli avevano ampiamente descritto i suoi cugini di Sassari.

L’uomo, lisciandosi con fare circospetto i baffi neri e spioventi, appena spruzzati di grigio, lo guardò negli occhi e non parlò neppure per dire il suo nome. Dario notò come se ne stesse tutto il tempo al coperto del macchione boscoso, guardandosi in continuazione tutt’attorno. I suoi occhi chiari gli sembrarono quelli di un gatto o forse di una volpe.

«Belìn, non ti avevo detto che avevo dei parenti e degli amici da salutare?» farfugliò, sorpreso dalla furia aggressiva del suo interlocutore.

«Ma che cazzo vai vaneggiando? Non avevi l’incarico di stringere dei contatti con i compagni sardi, giù a Nuoro? E invece ti ritrovo qui a fare un belin, come dici tu!»

«E tu, che stai con i binocoli allora?» tentò di reagire Dario che si era sentito trattato come una merda. Ma quello rincarò ancora la dose di rabbia.

«Ma allora tu non capisci davvero un cazzo! Ma sei un combattente o sei un pirlètta che continua a fare domande inutili?»

Dario questa volta abbassò la testa, sentendosi di colpo ridicolo.

«Sì, scusa, hai ragione tu. Ho sbagliato.»

«Se tu fossi andato dove ti avevo mandato, sapresti benissimo per quale motivo mi hai trovato qui, con questi binocoli. Non penserai che sia venuto a gustarmi il paesaggio?»

Poi, visto che l’altro non parlava e stava lì a capo chino, mortificato, cercò di addolcire un poco il tono della voce. «Ce li hai sempre quegli indirizzi di Nuoro?»

«Sì, certo», disse Dario, contento di potere dare una risposta soddisfacente.

«Ecco, falli a pezzetti e buttali via. Li abbiamo dovuti cambiare, per paura che ti avessero preso con quegli indirizzi in tasca. Adesso ti do un nuovo recapito e contattalo subito a nome mio» disse in tono sbrigativo Vittorio, scrivendo qualcosa su un pezzo di carta, dopo avere passato i binocoli al suo silenzioso accompagnatore.

«Mi dici adesso che cosa sei venuto a fare e perché ti trovi qui?» chiese ancora consegnandogli il pezzo di carta con il nuovo numero di telefono.

«Non ti avevo mai detto che con Fabrizio De André siamo amici d’infanzia?», disse con un filo di voce Dario.

«Ah!» fece l’altro sorpreso. «No, non me lo avevi detto e non lo sapevo. È superfluo che io ti dica che la segretezza della nostra missione in Sardegna va oltre ogni amicizia.»

«Ma certo, stai tranquillo. Ci mancherebbe» rispose offeso. Tuttavia pensò che significato avesse la sua presenza nella tenuta del suo amico, con quei binocoli e con quel pastore silenzioso.

«E speriamo che questo non complichi, a te e a noi, i nostri programmi futuri» disse in tono enigmatico.

Dario si sentì addosso gli occhi dei due uomini e si chiese ancora il senso di quelle parole. Tuttavia non disse niente.

«Ciao. Ci vediamo a Nuoro. E non perderti per strada, anche stavolta!» aggiunse mentre si accingeva a seguire l’altro uomo, che, dopo aver dato un ultimo sguardo intorno, lo aveva osservato un’ultima volta. I suoi occhi parlarono per lui, anche se Dario non seppe come interpretare quello sguardo indagatore e profondo.

Restò lì per qualche secondo chiedendosi che senso avessero quelle parole riferite ai programmi futuri. Poi si avviò pensieroso verso la tenuta, nella direzione opposta a quella che avevano preso gli altri due uomini. Presto sarebbe partito per Nuoro. Ma non lo avrebbe detto a nessuno.

 

 

sabato 7 dicembre 2024

Ode a Maria

 


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Prologo all’Annuncio

 

Ave  Maria, Madre del Dio Vivente,

scrigno del più prezioso dei tesori,

generatrice dell’Onnipotente,

 

di Colui che è Fattore dagli albori,

di Colui che è per sempre e sarà!

Madre che lenisci i nostri dolori,

 

luce di gran conforto e di pietà!

Avvocato a cause nostre infelici,

virtù inimitabile per beltà!

 

Aiuto a peccatori e peccatrici,

rifugio che  ami l’uomo e lo sostieni!

Modello di bontà e sacrifici,

 

miniera aurea dai filoni ripieni

di gioie d’inesauribile valore,

Tu, che sola vuoi, richiedi e ottieni

 

da Tuo figlio Gesù Il Redentore;

Tu, che riscatto sei stata di Eva,

umilmente servendo Il Crëatore

 

nel progetto che per noi prevedeva

il perdono dall’antico peccato!

Perfezione e Mistero che s’eléva,

 

‘sì arduo da capire e complicato!

Madonna Madre di Gesù Salvezza

Che col Suo sangue l’uomo ha riscattato

 

Dalla sua originaria nefandezza!

Non basta il misero pensiero umano

Per spiegare il mistero di grandezza,

 

che pur venendo da così lontano

s’è fatto carne sulla nuda terra;

e Tu, Tu l’hai cresciuto, piano, piano,

 

covando in cuor ciò che ogni mamma inserra

per  il sangue del sangue del suo sangue,

  conscia del Suo destino amaro; ed erra

 

chi non avverte il cuore che langue

di una mamma che generosamente,

quel Santo frutto  di Sua carne esangue

 

non vuole abbia sofferto inutilmente!

 

 

 

L’Annunzio a Maria e Visita ad Elisabetta

VV 26-56

 

-          Ave,  Maria, che di grazia sei piena

il Signore è con te” – disse Gabriele

ad una vergine, mentre serena,

 

secondo consuetudine a Israele,

operosa  attendeva il compimento

della promessa delle antiche stele,

 

che a conclusione del fidanzamento,

portava  alla carnale conoscenza

dello sposo. E fu nel turbamento

 

che Maria si chiedeva quale scienza

avesse un tal saluto. – “ Non temere”-

le disse il messaggero di Sapienza

 

-“ Maria, perché tu dovrai avere

un figlio, al quale  Tu darai la luce

e il nome di Gesù l’Emmanuele,

 

pur noto qual Figlio del Sommo Duce

e sarà grande per Sua volontà!

Per sempre la via, che al trono conduce

 

Del Re  Davide,  Dio Gli assegnerà!”

-         “ Non conosco uomo! Ciò è impossibile?”-

esclamò Maria, pura  in verità!

 

L’Angiol rispose: -“ Lo Spirto Mirabile

Scenderà su di te e la Sua scia

Di Eterna Santità sarà estensibile

 

Su te, grazie all’Altissimo, Maria!

Colui che nasce da te  sarà Santo:

sarà detto ‘l figlio di Dio. Pria,

 

anche di Elisabetta un nero manto

dicevano che avesse nel suo  seno;

adesso  d’aver concepito ha vanto

 

Questo dei nove è il sesto mese almeno

per quella tua vecchia parente!Nulla

è per il Signore Jahwèh alieno!”

 

Quindi  Maria gli rispose: - “La culla

sia pronta per la serva del Signore!

Avvenga dunque ciò che hai detto sulla

 

Mia maternità, me lo  dice ‘l cuore!”

E l’Angelo partì quindi da lei!

Nel contempo Maria con tanto ardore,

 

per giungere a una città dei Giudei,

verso la montagna si mise in viaggio!

Giunta alfine  alla casa di colei

 

Che era stata   incinta fuor di lunaggio,

la salutò! Appena Elisabetta

ebbe udito quel suo  saluto, un raggio

 

sembrò colpire come una saetta

il bimbo di cui era in dolce attesa

che le fece in grembo una  piroetta!

 

Elisabetta esclamò a gran voce:

-         “ Tu sei tra le donne la benedetta

e benedetto il seme che ti cuoce

 

in grembo! Perché oggi, alla  casetta

mia, la madre del mio  Signore viene?

Appena la tua voce io ho percetta,

 

il bambino di gioia nelle vene

 ha esultato! Beata chi ha posto,

nella parola che da Dio proviene

 

fiducia!” E Maria rispose tosto:

-         “ La  mia anima magnifica Dio

che ha guardato l’umiltà che ha riposto

 

in me;   esulta lo spirito mio

in Lui Onnipotente e Salvatore!

D’ora in poi da tutte le genti, io

 

In eterno sarò  beata! Grandi

 cose Il Signore ha fatto in me. E’ Santo

il nome Suo e su chi ne ha timore

 

si stende la Sua pietà come un manto,

di generazione in generazione.

E il Suo braccio è tanto potente quanto

 

Nei pensieri della loro intenzione

Disperde i superbi; innalza a santo

Gli umili, e a  chi copre una posizione

 

di comando, l’ ha invece rovesciato!

Ha rimandato i ricchi a mani vuote,

ha lasciato scontento anche  il protervo

 

e colmato di beni l’affamato!

Ha soccorso anche Israele, il  Suo servo,

come aveva promesso all’antenato

 

Abramo ed  al suo predetto coacervo

Discendente, ligio alla  pïetà!”

Maria fu lì tre mesi, ma ora fervo

 

Per raccontarvi ciò che seguirà!

 

 

 

venerdì 6 dicembre 2024

Dario viene affiliato alle Brigate Rosse

 


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Capitolo Terzo


A Londra, Dario si era lasciato con Bice, la sua ragazza. Era stato combattuto ma alla fine, sull’affetto che sentiva per quella ragazza così diversa da lui, aveva prevalso il suo carattere disfattista. Lei sognava soltanto una storia d’amore qualunque, fatta di alti e bassi, anche di litigi e incomprensioni e di paci subitanee. Niente di eccezionale e, sullo sfondo, anche un figlio se fosse arrivato, perché no? Lui invece aveva la testa piena di fanfaluche, di deliri, di fughe in avanti, verso una rivoluzione impossibile che, secondo le sue illusioni, avrebbe cambiato veramente il mondo. Bice lo amava al punto che lo avrebbe seguito perfino in quel suo delirio di onnipotenza. Lei, che detestava la violenza e non avrebbe fatto male a una mosca. E lui non avrebbe mai voluto coinvolgerla in quella strada che aveva deciso di intraprendere. La via della lotta armata, l’unica capace di acquietare il suo animo inquieto.  

Grazie a un conoscente di suo padre era stato assunto, con un contratto a termine, come operaio metalmeccanico in un’importante industria di Genova.

L’aria che si respirava lì, dopo l’uccisione di Aldo Moro avvenuta a Roma molti mesi prima, lo aveva esaltato. Da Torino erano giunti in città nuovi compagni, tutti validi organizzatori, terroristi di lungo corso, gente in gamba, che aveva tessuto una rete di simpatizzanti e aderenti, nelle cui trame lui era rimasto invischiato alla grande. Quei terroristi erano davvero dei grandi e sarebbero riusciti a spodestare i maialoni al potere. E lui voleva essere con loro quando questo fosse avvenuto. Non avrebbe trascorso la sua vita a faticare sul tornio o nella catena di montaggio per un salario di sopravvivenza.

Così quando Vittorio, il collega che lo aveva praticamente affiliato, gli propose di fare parte del nucleo armato che doveva eseguire un’azione punitiva nei confronti di una spia dei padroni, un sindacalista che aveva avuto l’unico torto di continuare a credere che la condizione degli operai andasse migliorata con una lotta politica di opposizione democratica, decise di aderire. Quello sarebbe stato il suo battesimo di fuoco. Si sentiva invincibile, quella mattina, con quella cocaina in corpo, che tutto il commando aveva sniffato per calmare i nervi. Soltanto il giorno dopo si rese conto che il sindacalista non era stato gambizzato. La spedizione punitiva aveva avuto come esito la morte. Non era stato un incidente, gli spiegarono, ma un atto di giustizia. Una sentenza del popolo subito eseguita. Soltanto lui non lo aveva compreso.

« Io avevo capito che si trattava di una spedizione punitiva».

«E infatti lo abbiamo punito a dovere. Non credi?»

«Belìn, ma i giornali dicono che è morto».

«Era la fine che si meritava, quella spia. Ma come pensi che si possa arrivare a prendere il potere?»

«Ma era uno di noi, un rappresentante dei lavoratori».

«Era uno che aveva fatto arrestare i nostri compagni, lo capisci?  Li aveva denunciati alla polizia. Come volevi compensarlo se non con del piombo caldo?»

Vittorio si era reso conto che quel nuovo adepto era sotto shock e che sarebbe stato pericoloso lasciarlo in circolazione. Era un bravo ragazzo e non voleva perderlo ma non poteva rischiare. D’altronde le nuove linee direttrici nella politica di reclutamento andavano nel senso di arruolare quanti più giovani si poteva, perché la rivoluzione sarebbe riuscita soltanto coinvolgendo la maggior parte della popolazione.

«Senti, Dario, quando ti scade il contratto?»

«A fine aprile, perché?»

«Ho una missione importante da chiederti. Questa volta sarai solo e non si tratta di punire nessuno».

«E di cosa si tratta?», chiese Dario senza troppo entusiasmo.

«Stiamo allacciando dei contatti importanti in Sardegna. Dovresti recarti lì, come nostro rappresentante. Te la senti?»

Dario pensò che quella sarebbe stata l’occasione per defilarsi. Se ne sarebbe andato da Fabrizio o dai parenti di sua madre e lì avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Magari si sarebbe costruito un’altra vita. Adesso, era importante allontanarsi per pensare e mandare giù questo rospo terribile che gli si agitava in gola.

«Va bene, accetto».

«Benissimo. Sono contento. Animo, dunque. Stiamo crescendo e cresceremo ancora, anche in Sardegna. A tempo debito ti fornirò i nomi dei nostri referenti a Nuoro».

«D’accordo, quando devo partire?»

«Magari in estate, con comodo. Poi ne riparliamo».

La pausa pranzo era finita per entrambi e tornarono così alle loro incombenze. Dario con i suoi crucci interiori, Vittorio con le sue trame di potere, dentro le loro anonime tute blu.

 

 

 

 

 

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