mercoledì 29 gennaio 2025

Dario rimugina sul sequestro di Faber

 


 L’auto, una Citroen Quattro Cavalli targata Milano, sulla quale i due probabilmente erano stati prelevati, era stata ritrovata, dopo due giorni, nei pressi del porto di Olbia. Le indagini erano state affidate a un capitano dei Carabinieri ed era atteso in città il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, amico personale del papà di Fabrizio, che avrebbe forse coordinato le indagini. Si era già costituito un gruppo di lavoro che faceva capo alla procura di Tempio, competente per territorio e dove lavorava un giudice istruttore esperto in storie simili. Si sospettava che l’auto fosse stata abbandonata in quel luogo con lo scopo di depistare gli inquirenti. Gli ostaggi dovevano trovarsi infatti da tutt’altra parte, tra gli inaccessibili dirupi o in qualche caverna della Barbagia più profonda, immersa nella vegetazione impenetrabile.

Tutto il resto era frutto di illazioni, ipotesi, indignazioni, minacce, lamentele e analisi più criminali che sociologiche.

I sentimenti di Dario oscillavano tra la soddisfazione per la competenza mostrata dai compagni sequestratori, puntuali e precisi nel colpire la ricchezza privata da cui ricavare le risorse per realizzare la rivoluzione pubblica e i sensi di colpa per essere, seppure in quella sorta di semi incoscienza con cui oramai si stava abituando a convivere, un complice di quell’azione di forza diretta contro un suo amico d’infanzia. Uno che anche se apparteneva alla ricca borghesia, alla classe degli odiati capitalisti, era sempre una persona che gli aveva mostrato amicizia e solidarietà.

 Si rammaricò di quella situazione, di quel suo stato d’animo conflittuale e cominciò a chiedersi se non fosse stato più corretto per lui spiattellare tutto quanto, così da riscattarsi, almeno salvando il suo amico e la sua donna.

Ma, subito dopo, si diceva che lui non poteva essere un giuda, un pentito, un traditore. Non voleva. D’altronde il suo amico Fabrizio lo aveva già tradito, perché caso mai avrebbe dovuto parlare prima che lo rapissero, quando aveva saputo dell’intenzione di quegli uomini sconosciuti. Se invece lo raccontava adesso, sarebbe stato traditore due volte, in quanto avrebbe tradito anche i suoi compagni, senza contare lo sgarro fatto ai Sardi.

E poi, in fondo lui cosa sapeva veramente? Sarebbe stato in grado di guidare i baschi, come li chiamava Doddore, al nascondiglio dove era tenuto prigioniero Fabrizio?  E' anche vero che lui vedeva il pastore che li ospitava allontanarsi con la bisaccia piena di viveri in direzione della montagna, ogni qualvolta Marino giungeva al rifugio. Prova che soltanto lui, fungendo da vivandiere, doveva conoscere il nascondiglio preciso dove i due erano tenuti prigionieri in attesa del riscatto. Ma chissà in quale forra, caverna, macchia boschiva si trovava il suo amico!

E finalmente, era giusto che chi era vissuto nella ricchezza fosse esposto alle rivendicazioni di chi era povero! Quello era il prezzo da pagare per essere nati nell’agiatezza. Era questa una giustizia terrena, più solida e concreta di altre giustizie inesistenti, sulle quali campavano gli addomesticati dall’oppio delle religioni!

Era in buone mani, lo avrebbero liberato sano e salvo, dopo il pagamento del riscatto e sarebbe tornato alla sua bella vita fatta di agi materiali e ricchezza e il sequestro sarebbe rimasto soltanto un vago ricordo. Anzi, conoscendolo, ne avrebbe ottenuto un godimento spirituale, da quella avventura così rischiosa e truce. Capace di ricavarne perfino dei soldi, più di quanti ne avrebbe sganciati la sua famiglia!

Quando un domani, lui e i suoi compagni avessero preso il potere, avrebbe confessato tutto a Fabrizio personalmente. E lì, si sarebbe capito finalmente la vera natura del suo amico. Magari avrebbe ammesso di essere stato, seppure in quel modo involontario e violento, partecipe del successo del proletariato, della vittoria sulle ingiustizie, della rivalsa degli ultimi verso gli eterni primi, i ricchi di sempre.

Marino sembrò leggergli nei pensieri, mentre seduti alla grande tavola sorseggiavano il caffè, mentre lui e Vittorio divoravano i giornali con le notizie del sequestro.

«Che c’hai Dario, ti vedo perplesso?»

«Mi sto semplicemente chiedendo che significato abbiano, nel contesto rivoluzionario, questi sequestri di persona» rispose, poggiando il giornale che stava consultando. In realtà era preoccupato per il suo amico e la sua compagna, ma non voleva dirlo.

«Davvero non lo capisci?» intervenne Doddore, accalorandosi.

«No» affermò seccamente.

«Lascia che glielo spieghi io Doddore» disse Marino che non voleva dare via libera agli eccessi verbali del suo amico pastore. Aveva preso in simpatia Dario dal primo giorno e in qualche modo aveva un istinto protettivo e di simpatia nei suoi confronti.

«Il sequestro di persona per noi comunisti è una semplice operazione di giustizia redistributiva. È un modo come un altro per cercare di livellare le sperequazioni sociali. Non dare retta alle menate che si leggono sui giornali, sulla odiosità del reato, sulla brutalità dei pastori cattivoni, selvaggi e spietati che considerano gli uomini sequestrati al pari delle bestie.»

«In effetti se non ci fossero le classi sociali, questo tipo di reato non esisterebbe, se ci pensi bene» intervenne Vittorio che sull’argomento si era evidentemente documentato.

Messa in quei termini Dario vide la questione sotto una luce totalmente diversa.

«In pratica chi si è impossessato arbitrariamente e con arroganza dei mezzi di produzione adesso dovrà rendere conto ai tribunali del popolo della sua condotta e subire la giusta punizione» ribadì Marino con calma.

«E comunque una cosa giusta l’hanno scritta i giornali. Nei sequestri noi abbiamo sostituito le pecore con gli uomini, ma l’abbiamo fatto per due buoni motivi. Gli uomini rendono più soldi e poi non belano» intervenne Doddore con una risata di soddisfazione.

Tutti risero della battuta. Dario sperò ardentemente che la famiglia di Fabrizio, da vera borghese, non fosse più attaccata al patrimonio che al proprio congiunto. Pensò anche che se la borghesia fosse stata veramente coerente, in generale non avrebbe mai ceduto al ricatto dei sequestratori. Ma anche questo pensiero rimase tra i suoi sentimenti in quella contorta vicenda.  E lui sentiva, nel profondo del suo animo, che per lui quella storia non si sarebbe conclusa bene, anche se sperava che almeno Fabrizio e la sua compagna potessero venirne fuori sani e salvi.

 

 

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