11.19.2025

Il romanzo di De André


https://deimerangoli.it/shop/sicuramente-ligure/


 Serata all’insegna della poesia e della musica quella del 22 novembre organizzata dagli Amici del Libro di Borore. Col libro di Ignazio Salvatore Basile dal titolo 

Sicuramente ligure ma anche un poco sardo cartaginese".

Si parlerà di Fabrizio de André e del suo profondo legame con la Sardegna. Nonostante il sequestro subìto, insieme alla sua compagna di una vita Dori Ghezzi, il suo legame con l’isola si è rinforzato. 

L’autore del libro, Ignazio Salvatore Basile, traccia un ritratto inedito del cantautore genovese, sottolineando la sua immensa grandezza e la sua capacità, attraverso le sue canzoni, di entusiasmare intere generazioni.


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11.18.2025

Il Maestro, la mia recensione sul film del regista Andrea Di Stefano

 Sarà forse perché il Tennis è stato uno dei pochi sport che ho praticato da giovane, o magari per il fatto che adesso, c’è un italiano che occupa il primo posto del Rank Mondiale ATP, ma il film "Il Maestro" del regista Andrea Di Stefano è stato di mio gradimento

Non è un film consigliato per chi ami esclusivamente i film d’azione ma va ben al di là di certe italiche commedie, insulse e mal recitate che soprattutto in periodo pre-nalatizio vengono prodotte in serie.
La pellicola intanto fa pensare. Il che, di questi tempi, non è poco. Fa pensare a quanto sia pericoloso e sbagliato, da parte dei genitori, scaricare le loro frustrazioni nervose o i loro sogni di gloria e di guadagni facili sui figli. E non si dica o si pensi che , trattandosi di Tennis, da sempre considerato sport minoritario d’élite, il tema sia di poco conto. Basterà spostare il focus della pellicola dal Tennis al Calcio, per capire quanto sia vasto e diffuso il fenomeno dell’arrivismo genitoriale in ambito sportivo e quanto gravi siano le sue ricadute in ambito sociale.

Le famiglie, ai giovani, dovrebbero sforzarsi di trasmettere il loro amore per la cultura (ammesso che ne abbiano da parte loro) e non l’ambizione di scalare il ranking mondiale per fare soldi a tutti i costi. Da questo punto di vista il calcio e il tennis diventano altamente diseducativi e fuorvianti, imponendo dei modelli che spingano i giovani a tralasciare la cultura e lo studio, a favore delle scarpette, dei palloni o delle palline, dei calzettoni parastinchi e delle racchette, per rincorrere un sogno che si avvera per pochi.  Il resto degli aspiranti astri sportivi rimane magari ai bordi del campo, a infoltire le schiere dei fanatici che talvolta, troppo spesso direi, sfogano le loro frustrazioni nella violenza, aggredendo i loro supposti avversari (cioè i tifosi come loro, ma di segno e di colori opposti) nelle strade o direttamente negli stadi. 

Occorrerebbe che lo sport venisse insegnato invece,  sganciato da ogni competizione personale e, soprattutto, slegato da ogni ambizione di arricchimento e facili guadagni.
Il film conferma le doti di recitazione di Pierfrancesco Favino e costituisce una gradevole sorpresa del giovanissimo Tiziano Menichelli per l’interpretazione del personaggio del piccolo Felice. Il resto degli attori direi decorosi con un plauso particolare al cammeo di Edvige Fenech che finalmente ha avuto l’occasione di recitare vestita da capo a piedi. Ottima l’interpretazione di Giovanni Ludeno che conferma le sue doti recitative già messe in mostra in altre pellicole e perfino in TV come valida spalla nella serie televisiva di buon successo, ‘Le indagini di Lolita Lobosco", prodotta dalla RAI.
Seppur non sia un tecnico della cinematografia, mi permetto di fare un piccolo appunto personale. Ho trovato esagerato l'eccesso di primi piani sui visi in momenti in cui avrei gradito il campo lungo, soprattutto durante le partite di tennis.

11.09.2025

Il crollo del muro di Berlino

 

Le lingue sono state scambiate

11.02.2025

In viaggio come un Pellegrino

 


In questo ponte della Festa di tutti i Santi mi sono recato in pellegrinaggio a Roma con l'UNITALSI. L'itinerario prevedeva la visita alle quattro principali basiliche romane: San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e San Paolo Fuori le Mura.

 Quando mi sono fermato in contemplazione davanti all'icona mariana Salus Populi Romani, custodita nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, mi è subito balzata  alla mente la visione di papa Francesco. 

L'ho rivisto come se fosse allora,  in piena pandemia Covid, nel marzo del 2020, ergersi in tutta la sua statura morale e spirituale, sotto la pioggia, in compagnia del Crocifisso di San Marcello al Corso, in una Piazza san Pietro, spettrale e deserta. 

Un uomo solo, pellegrino sulla terra, che mostrava al mondo il simbolo dell'umanità  ferita, gemente, stordita, confusa, trepidante, che in, in quel momento drammatico, sentiva sulle sue spalle tutta la fragilità e i limiti dell'essere umano. Un'umanità incredula, tradita e vilipesa,  nella sua dignità,  dal progresso fallace, agonizzante dopo il delirio di onnipotenza che un materialismo esacerbato ci ha portato, in questo terzo millennio, ad esaltare e a innalzare come un idolo inarrivabile, un dispensatore di doni e di felicità.

La potenza evocatrice di quell'immagine, dove la fragilità umana del papa pellegrino in terra, si fondeva con il simbolo  della grandezza e dell'umiltà,  rappresentato dal Crocifisso, manifestava e confermava il suo significato più intimo e profondo nelle parole che Francesco riecheggiava dal Vangelo, richiamando l'immagine degli Apostoli spauriti nel mar di Tiberiade,  nella barca sballottata dalla furia della tempesta. 

Un richiamo che mostrava  insieme  paura,  e desiderio di speranza e di conforto: "Signore, non t'importa che noi moriamo?" 

"Perché tremate uomini? Non avete ancora abbastanza  fede? Tornate a me, uomini che siete offesi, umiliati, impauriti da un mondo presuntuoso, arrogante e superbo convinto di trovare sicurezza nel potere, nei piaceri, nel danaro".

Messaggi più che mai attuali, adesso, dopo cinque anni da quell'iconica apparizione in piazza San Pietro, mentre il Mediterraneo, l' Europa e  il mondo intero bruciano sotto le bombe, e i soldati, i vecchi  e i bambini soccombono, vittime della guerra.

 Sbaglia chi pensa che un pellegrinaggio sia soltanto un viaggio di preghiera e di dolore. Si vive molto di più di questo andando in pellegrinaggio. Se la fede, o la ricerca della fede, possono essere la molla che ci spinge ad intraprendere il viaggio, nella quotidianità del percorso si tocca con mano la solidarietà con gli ultimi, con i più fragili, con i diversamente abili che vengono messi in condizione di condividere l'esperienza dall'aiuto disinteressato dei volontari che affiancano le diverse associazioni, oggi rappresentate dall'UNITALSI ma presenti in tutta Italia in diverse forme. Per poi essere accolti in prima fila, a San Pietro, per vedere e sentire papa Leone che,  nella sua omelia,  conferma la predilezione della Chiesa di Cristo per questi fratelli che sono i testimoni del senso più autentico del vivere la fratellanza.

E poi c'è l'arte, quel linguaggio universale che spinge anche gli atei dentro le chiese ad ammirare l'ingegno e i sentimenti umani che prendono forma, nel tentativo di svelare il mistero che  avvolge e compenetra la presenza dell'uomo sulla terra.

Siamo tutti pellegrini sulla terra. Pur se a volte inconsapevoli di esserlo.


10.26.2025

La vita va così, recensione


Se dovessi scegliere un sottotitolo per questo bel film di Riccardo Milani sulla Sardegna e sui Sardi, direi che la sua visione mi ha richiamato alla mente la "Costante Resistenziale Sarda" di Giovanni Lilliu.

Così come le popolazioni nuragiche si ritirarono nell'entroterra montagnoso del centro Sardegna,  per sfuggire alle razzie che venivano dal mare, così Efisio Mulas, l'eroico pastore, personaggio principale della pellicola, si è chiuso in sé stesso, nella sua enclave, insieme culturale, economica e sociale, per resistere alla cementificazione che pretendeva di comprare, a qualunque prezzo, la sua vita, le sue abitudini, il suo mondo.

Il film prende spunto da una storia vera. Il personaggio reale, che Michela Murgia avrebbe voluto nominare personaggio dell'anno in Sardegna, al suo posto, nel 2011,  si chiamava Ovidio Marras.

Ovidio Marras era  un imprenditore agricolo sardo che all’epoca dei fatti aveva 81 anni e che viveva e lavorava a Teulada, in provincia di Cagliari.

Ovidio percorreva da decenni una via per spostare le sue greggi. A un certo punto un’impresa edile, che stava costruendo un imponente insediamento turistico vicino ai suoi terreni, aveva occupato abusivamente quella strada che egli utilizzava per portare al pascolo le sue pecore.

Il coraggioso e anziano pastore naturalmente ha protestato. Il colosso dell’edilizia, dall’alto della sua potenza economica, ha pensato che avrebbe potuto comprare il consenso di Ovidio.

E quando mai s’è visto un pastore sardo capace di fermare il progresso economico?

Questi arcaici pastori sono stati tacitati a Ottana, a Portotorres, e nei numerosi terreni che ora sono chiamati ” Costa Smeralda”; perché non possiamo comprarli a Teulada? Noi siamo il progresso, portiamo posti di lavoro, civiltà, soldi.

Ma Ovidio non ha voluto i loro soldi e si è rivolto al Tribunale che ha ordinato all’impresa di rimuovere le opere abusive e di riportare al ripristino stato la morfologia del terreno (rendendo nuovamente agibile la strada campestre a favore di Ovidio Marras).

Questa è la storia che ha reso famoso, in tutto il mondo, Ovidio Marras, facendolo assurgere a modello di sfida e resistenza contro i poteri forti, quasi un novello Davide che abbatte il protervo Golia. 
Da lì ha preso spunto la pellicola di Riccardo Milani, tutto sommato abbastanza fedele, seppure romanzata per ovvie ragioni di narrativa cinematografica.
Quello che piace nella vicenda di Ovidio Marras, e rende godibile anche il film "La vita va così", dove l'eroe assume il nome più rappresentativo di Efisio, è proprio questa sfida impari, tra un gigante dell'edilizia e della cementificazione, e un piccolo pastore semianalfabeta che chiede soltanto di continuare a vivere come ha sempre vissuto.
A parer mio è lo stesso sentimento che ha portato sulle piazze, alcune settimane fa, masse di giovani proPal, offese, turbate, scandalizzate, dalla truculenta vendetta che il gigante israeliano ha inteso scaricare sulla popolazione inerme di Gaza, invece di indirizzarla, casomai, contro i  codardi terroristi di Hamas.
Ma sarebbe un errore fermarsi a una lettura univoca e semplicistica. La pellicola di Milani merita e contiene più di una chiave di lettura. 
In gioco, sullo schermo e nelle immagini del film, c'è  la dignità di essere uomini fino in fondo, restando coerenti alle proprie idee, anche di fronte a delle offerte che farebbero impallidire persino un vescovo (come accade, simpaticamente nella vicenda cinematografica). 
Non a caso, alla fine della proiezione, leggiamo la dedica che il regista ha fatto a Gigi Riva (Milani ha diretto anche "Nel cielo si ode un rombo di tuono") l'indimenticato campione del Cagliari dello Scudetto 1969-1970). 
Anche nel caso del grande campione sardo-lombardo  Luigi Riva ci trovammo di fronte a un uomo che rifiutò dei miliardi di lire, pur di restare fedele e coerente alle proprie idee.
E la mia mente corre a un altro grande sardo di adozione: Fabrizio De André, che non cessò di amare la Sardegna più autentica e i Sardi più veri, anche quando dei falsi balentes lo vollero privare della libertà per alcuni mesi, al fine di estorcere a lui e alla sua famiglia dei denari in forma di riscatto.
Insomma, il film, al di là di qualche ingenuità che si può e si deve facilmente perdonare, è ben strutturato e offre molteplici chiavi di lettura.
A prima vista, quel che colpisce lo spettatore,   è la contrapposizione tra due mondi: il progresso, che però distrugge e violenta la Natura, promettendo, come alibi ipocrita e paternalistico,  posti di lavoro e benessere per tutti, e la vita semplice di un pastore umile, quasi prigioniero, ma fiero e orgoglioso, dei suoi ritmi e delle sue arcaiche consuetudini, simboleggiati nella pellicola dai pomodori seccati al sole, dal desinare spartano, al fuoco del camino, dai canti semplici e dai dialoghi che al pastore riescono scorrevoli e spontanei  più con le sue bestie che con il resto del mondo, compresi i suoi stessi familiari.
Ma ripeto che sarebbe un errore fermarsi a questa lettura superficiale e romantica della pellicola, che pur da sola basterebbe a giustificarne l'esistenza.
Qui, però, nella fattispecie in esame, siamo di fronte a un discorso che deve necessariamente volare più in alto. Quel che voglio dire è che qui lo scontro è tra due modelli di civiltà: da un lato quella agropastorale sarda, mai realmente riconosciuta ed apprezzata (ancora poco tempo fa, un amico scrittore di Bonorva, mi ricordava come a Torino, dove era emigrato per lavorare come operaio alla Fiat, al suo passaggio, molti colleghi lo accompagnassero, a mo' di sberleffo,  con il belato delle pecore) eppure ricca di una cultura millenaria che ha saputo esprimere l'immortale civiltà nuragica e che ancora resiste e sopravvive nei cuori dei Sardi più autentici come un modello di valori che andrebbero rivalutati, in primis, da noi stessi Sardi (ma ben vengano i Riva, i De André e i Milani, oltre che i Marras, a ricordarcelo); dall'altro il modello capitalistico, sensibile soltanto al profitto, all'apparenza, alla superficialità, ai facili guadagni e ai lussi, tutti valori che appaiono decadenti e che non lasciano spazio ad altri sentimenti.
Questa è, secondo me, la riflessione più profonda e vera che il film di Riccardo Milani invita a fare; e non è detto che sia rivolta soltanto ai Sardi, perché il discorso è universale.
Bravi anche gli interpreti: il pastore Giuseppe Ignazio Loi, che ha interpretato sé stesso in maniera egregia; Virginia Raffaele che si è superata nel linguaggio e nella gestualità (all'inizio del film pensavo che fosse doppiata, invece la voce è propria la sua; davvero complimenti). 
Ma anche gli altri attori non hanno certo sfigurato: Diego Abatantuono, una conferma,  se ancora ne avessimo avuto bisogno; Aldo Baglio del famoso trio siculo-lombardo Aldo, Giovanni e Giacomo; Geppi Cucciari, e in pregevoli cammei Jacopo Cullin, Massimiliano Medda e Gabriele Cossu e via, via tutti gli altri, Sardi e continentali, che qui non elenco per paura di dimenticarne qualcuno. 
Una chicca che impreziosisce la pellicola, infine, è la colonna sonora di Moses Concas, magistralmente eseguita dallo stesso autore, in un finale travolgente.

Ignazio Salvatore Basile



Brunello: Il visionario garbato - Recensione

  Spesso mi sono chiesto, in differenti momenti di sconforto e per le più diverse ragioni,  dove fossero  andati a finire gli italici ingegn...