domenica 15 maggio 2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-20


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Sin da lunedì era stato  incerto se mandarle un mazzo di rose rosse, come soleva fare, seppure in occasione di ricorrenze, con sua moglie. Il suo sarebbe stato un gesto per manifestarle la sua ammirazione, il suo ringraziamento per la bella giornata trascorsa insieme. Un gesto per dichiarare apertamente la passione che provava per lei.

Poi aveva scelto  di non inviarle perché tra loro non c’era stata una vera e propria spiegazione in occasione del loro casuale incontro del sabato precedente. Anzi lui aveva capito che il silenzio di lei nei mesi precedenti era da attribuirsi, non tanto alla sua paura di innamorarsi, quanto piuttosto al timore che dall’innamoramento passionale si potesse passare a una relazione piatta e ordinaria, fatta di abitudine e routine.

Aveva deciso così di darle tutto il tempo di cui lei avesse avuto bisogno. Neanche lui, in fondo, era in cerca di una relazione standardizzata sull’ordinario, priva di emozioni e fatta di abitudini e convenzioni. Santiago si era, alla fine, adeguato a quella che sembrava essere la scelta di lei. Un rapporto senza vincoli, ricco di sincerità, ma anche di libertà. Amore e indipendenza e con una travolgente passione da vivere alla giornata.

Quando arrivò alla casa di via Giudicessa Adelasia lei era già lì che aspettava. Aveva ripreso le sue eleganti sembianze professionali, con il suo mezzo tacco nero, il tailleur sartoriale color amaranto, il suo preferito. I capelli raccolti in un elegante chignon e il trucco leggero, ma sapiente, donava ancora più luce ai suoi occhi e alla sua pelle.

Si salutarono affettuosamente, come due vecchi amici. Subito il commissario armeggiò con le chiavi che gli avevano dato in procura e che erano state sequestrate all’assistito dell’avvocato Levi, il presunto assassino con il coltello insanguinato in mano. Quando furono dentro casa l’avvocato provò le luci. La corrente c’era ancora, anche se non serviva. L’appartamento era luminoso e il sole illuminava ancora

quella bella giornata di maggio. Il commissario sollevò le tapparelle del salottino della casa della vittima di quel brutale assassinio, ancora avvolto nel mistero, ancora senza un colpevole vero. Dalla finestra vide un volo di fenicotteri, come una squadra di aerei, sfilare verso la zona degli stagni.

L’avvocato aprì la borsetta e consegnò la chiave al commissario, che nel frattempo aveva staccato dalla parete il quadro che copriva la cassaforte a muro. 

Luisa gli stava di fianco e si sollevò sulla punta dei piedi per vedere meglio l’interno della piccola cassaforte. Ma non c’era niente. Il commissario passò la mano destra su entrambi i ripiani, per esserne ancora più certo. La cassaforte era davvero vuota.

I due si guardarono. La più incredula sembrava però proprio Luisa.

«Mi ha detto il mio assistito che oltre al testamento, la zia ci teneva dei buoni postali nominativi, diversi gioielli personali, alcuni documenti, tra cui la carta d’identità e il codice fiscale.»

«Senti, e la chiave della signora dove potrebbe essere? Ho visto delle chiavi nell’ingresso…»

«Vado a prenderle!» si offrì lei prontamente. «Anche se so che la chiave della cassaforte, la signora Emma, la teneva nel primo cassetto del comò, insieme alla carta del bancomat e a piccole somme in contanti.»

«Io vado a fare una ispezione più accurata rispetto a sabato scorso!» disse il commissario mentre lei andava a prendere le chiavi.

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