sabato 20 ottobre 2018

Memorie di scuola - Parte Prima



Come dicevo, nell’estate del ’71 mio fratello Marino aveva abbandonato il vecchio locale di via Cagliari, dove per tutta l’estate del ’70 io gli avevo fatto compagnia (ero più un supporto psicologico che un aiuto al banco di vendita, dato che l’afflusso della clientela non era rilevante e al banco delle riparazioni, in presenza di mio fratello,  avrei potuto soltanto guardare per cercare di imparare qualcosa), e si era trasferito in via Roma, la strada centrale della bella cittadina di Samassi che mio fratello aveva eletto a sua seconda patria e dove lui era ben voluto da tutti.
Il cambio di negozio non giovò soltanto agli affari (che subirono un notevole incremento) ma anche e soprattutto all’umore e alla salute di mio fratello che parvero rifiorire da quelle lande di depressione e malessere in cui sembravano essere scivolate dopo la sua grande ed eclatante rivolta contro i disegni egemonici di mio padre.
I clienti entravano ed uscivano in continuazione, soprattutto la sera. Mio fratello vendeva con discrete capacità ed io lo affiancavo per vedere che qualche mariuola dalle mani svelte, approfittando magari di un suo momento di distrazione, facesse sparire qualche oggetto d’oro.
-”Stai attento soprattutto se vedi qualche avvenente ragazza che mette in mostra le tette!” – soleva ripetere mio fratello per darmi la carica.
Quando vi era più di un cliente anche io ero autorizzato a servire al banco, sia per la vendita di oggettistica minuta,  sia per sostituire un cinturino o altre facili operazioni.
Il periodo più calmo era a fine mattinata. Il negozio chiudeva alle 13,00 ma alle 11,30 in giro non si vedeva molta gente. Anche a Samassi, come in tutti i paesi a vocazione agricola della zona, il pranzo è rigorosamente previsto alle 12,00.
Mio fratello ne approfittava per fare le riparazioni. Io lo guardavo affascinato, come avevo fatto qualche anno prima al seguito di mio padre. Era preciso e delicato esattamente come il suo maestro. Solo che al contrario di lui, mio fratello amava chiacchierare durante il lavoro di riparazione al banco (a parte in quei rari momenti topici in cui il lavoro richiedeva un’applicazione particolare e massimo silenzio).
Se  era di malumore mi parlava della sua infanzia disgraziata, di quanto avrebbe voluto studiare invece di essere stato brutalmente messo a bottega; degli errori di   mio padre  che non era stato capace di costituire una vera società familiare a causa del suo carattere dispotico e poco comunicativo; dei suoi amici, tutti sfortunati e pieni di problemi; e di donne.
In  fatto di donne, mio fratello era un grande esperto;  si prodigava infatti in  un vero profluvio di pillole di saggezza sulla materia: a cominciare dal carattere delle donne e sulla loro psicologia instabile e umorale; e sulle loro apparenti virtù di castità e ritrosia; sulla inutilità di stabilire con loro relazioni stabili e sulla convenienza a farsi delle avventure, senza scrupoli e senza rispetto. Aveva in generale poca stima del sesso femminile; alcune categorie sociali erano da lui etichettate come poco di buono, da evitare come la peste: erano le parrucchiere e le infermiere, a suo dire, tutte ragazze di facili costumi, da non considerare per eventuale relazione stabile, tutt’al più, se fossero state “bone”, da inforcare e via. Mi raccomandava di non lasciar correre le numerose occasioni che, fortunato com’ero, lui non si sarebbe certo fatto sfuggire, nel mondo corrotto e libertino della scuola, dove le donne cercavano una cosa sola; e bisognava dargliela! Lui sì che avrebbe provveduto alla grande! E guai se io mi fossi tirato indietro.
Io avrei preferito dei consigli più pratici, magari su come corteggiare una donna, come conquistarla, su quale fosse stato l’approccio più corretto per entrare in quel mondo femminile così ricco, per me, di attrattiva, di fascino e di mistero; ma mio fratello era un fiume in piena e non sembrava attribuire alla psicologia un ruolo rilevante; le donne, secondo lui, erano delle bambole da conquistare, da trombare e da mollare.
Oggi capisco che quelle sue contumelie erano il risultato di tutte le delusioni che lui aveva avuto nei suoi rapporti con il c.d. gentil sesso.
Perché queste delusioni gli fossero occorse non so spiegare nel dettagli, perché lui non si confidava con nessuno sulle sue vicende private.
Posso però supporre che il mio caro e sfortunato fratello sia in qualche modo rimasto vittima della sindrome del bravo ragazzo di cui le donne sembrano essere, a loro volta,  vittime (qualcuno la chiama la sindrome della crocerossina; non so però se i due paradigmi affettivi coincidano davvero).
E’ noto  comunque che  le donne siano attratte più dalle simpatiche canaglie che dai bravi ragazzi. Mio fratello era sicuramente un bravo ragazzo, affidabile, con un’ottima posizione economica eppure con le donne non ebbe mai fortuna.
Guardandomi in giro ho visto spesso delle ragazze molto carine e pulite, accompagnarsi con dei ceffi dall’aspetto poco raccomandabile. Mio padre,  a tal proposito,  ripeteva spesso che se fosse nato donna,  sarebbe morto vergine, perché mai si sarebbe fatto toccare da certi elementi maschili, neppure con una canna di venti metri!
Io allora vedevo le donne come delle dee, da adorare e venerare; sicuramente da rispettare e da amare, ma mai da considerare come una merce di consumo, da pagare per delle prestazioni sessuali;  e neppure dei corpi di cui godere,  per poi scappare, in cerca di altro piacere, come sembravano suggerire le teorie di mio fratello ma anche di tanti altri uomini di mentalità maschilista.

Continua...
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