sabato 22 giugno 2024

Il manuale del perfetto orologiaio

 

https://www.amazon.it/dp/B0BQ6MR661

Capitolo Settimo

 



«Qual buon vento ti porta alla Sconcia, bella ragassuola!», esclamò allegramente Maturina, abbracciando Giuditta.

«Sono venuta per parlare di quella proposta che è qualcosa più di una semplice offerta di lavoro, come avete detto voi quel giorno che ci siamo conosciute».

«Certo, ricordo bene. Come mai ti sei decisa proprio adesso?»

«Mi sono stancata di fare la magazziniera!» Giuditta evitò di riferirle che il vero motivo era la proposta di matrimonio che lo zio Anselmo le aveva fatto. Non era il caso che quella furbona bolognese lo sapesse.

«E tuo zio Anselmo come l’ha presa?», chiese l’acuta matrona, cercando di infondere un tono neutro alla sua domanda.

«Lo zio non può dire niente. Ho dei segreti, qui dentro, che potrebbero nuocere non poco ai suoi affari», disse la giovane poggiando la mano destra all’altezza del prosperoso seno.

Maturina intuì, più che capire; e comunque la ragazza le parve molto sicura di sé; ed era molto bella; forse più di quanto non lo fosse stata lei in gioventù; proprio la persona che ci voleva per rilanciare gli affari della sua maison.

«Vieni, prendi il tuo bagaglio che ti faccio vedere la tua sistemazione; strada facendo parleremo di affari. Hai già fatto colazione?»

«Sì, certo».

«Bene. Qui siamo al terzo piano e ci viviamo soltanto io con il mio compagno; e adesso tu, che occuperai queste tre stanze che sono libere. Del primo piano tu non dovrai interessarti, ma te ne voglio informare lo stesso: è chiamato il piano dei Baiocchi, e ci sono dodici camere, suddivise in tre classi: la terza classe, da 20 quattrini (ovvero quattro baiocchi), si affitta per un quarto d’ora; la seconda, da trenta quattrini (o sei baiocchi) vale mezz’ora; la prima classe, da mezzo scudo (ovvero 50 baiocchi) vale un’ora intera».

Giuditta ascoltava la matrona con la stessa attenzione con cui aveva ascoltato suo zio Anselmo quando aveva preso a spiegarle il funzionamento dello stoccaggio delle merci nel magazzino di Pontelagoscuro. Visto che la giovane donna la seguiva Maturina continuò.

«Quello che interessa a te è il secondo piano. Attraverso queste scale vi si accede direttamente. Non si può accedere a questo piano né dal piano terra e né dal primo piano. L’altro che ti mostro adesso è accessibile dallo stallaggio: la nostra clientela selezionata, scende dalla carrozza, imbocca le scale segrete e arriva qui, da questa porticina qui, vedi? Adesso è chiusa a chiave. Per accedere a questo piano occorre possedere due chiavi: una per la porta che sta nelle stalle di rimessa, ove gli ospiti privilegiati possono alloggiare i loro cocchi e i loro cavalli. E l’altra è per questa porta qui.

Questo si chiama il piano degli scudi: d’oro o anche d’argento, non ha importanza; vanno bene tutti, veh? anche i ducati, veneziani, milanesi o toscani, purché d’oro e di argento».

Nel dirlo, alla matrona brillavano gli occhi. Lei aveva un debole per l’oro e l’argento.

«E io?», chiese Giuditta interessata.

«Tu dovrai gestire le ragazze del piano. Per i clienti e le tariffe non ti preoccupare; a tutto penserò io; tu devi verificare pulizia e portamento delle stanze e delle ragazze e che tutto si svolga con regolarità. Noi lavoreremo fianco a fianco e io ti darò il dieci per cento netto dei compensi del piano e in più potrai ricevere chi vuoi, ai prezzi che decidi tu, nella stanza a te riservata; e quegli incassi saranno tutti tuoi: te li incassi tu e te li tieni tu. Che ne pensi, ragazza bella?»

«Penso che va bene»

«Bene. Adesso torniamo di sopra. Dopo pranzo ti presenterò le ragazze del piano e potrai cominciare da subito.

Per un po’ di giorni ti seguirò da vicino ma quando avrai preso in mano la situazione potrai fare da sola. Così io potrò interessarmi del tanto altro che c’è da fare per mantenere la maison in piena efficienza. Siamo d’accordo?»

«D’accordo», rispose Giuditta. Una stretta di mano e un intenso sguardo d’intesa suggellò il loro patto.





La casa di tolleranza della Sconcia era ospitata nel Borgo di San Giorgio, in un Palazzotto di 3 piani fuori terra.

Al piano terra, di fronte all’ingresso, c’era una postazione che fungeva da biglietteria, ove si concordava la prestazione, il cui prezzo variava secondo il tempo che si intendeva trascorrere con la ragazza prescelta (anche se in effetti il tempo era in funzione delle prestazioni richieste e non viceversa).

L’attività si svolgeva ai due piani superiori, separati tra loro nella gestione e nei servizi. Il prezzo dei servizi, che partiva da un minimo di quattro baiocchi, includeva, obbligatoriamente, un tocco di sapone veneziano (che in realtà era prodotto a Rovigo, ma i blocchi da 50 libbre portavano la scritta “Sapone di Venezia”; oggi si direbbe un marchio registrato, o qualcosa del genere) e una pezza di lino grezzo. Il primo veniva ceduto in proprietà, o a perdere, come si diceva, mentre la seconda andava lasciata per terra dopo il suo utilizzo. Anche se in realtà tutto questo valeva soltanto per il primo piano. Al secondo piano era tutto diverso e si agiva per una clientela selezionata che non aveva certo bisogno di portarsi via un pezzo di sapone grezzo.

La casa, che portava l’insegna “Ai Bagni della Sconcia”, prendeva il nome da questo servizio, e persino dopo la Devoluzione, il membro del consiglio dei Savi addetto all’Igiene Pubblica e alle Acque, aveva preteso che l’insegna riportasse la scritta e come tale veniva tollerata dal nuovo potere pontificio che comunque ne enfatizzava la visione negativa delle operatrici (chiamate evangelicamente “maddalene”) in chiave di esaltazione della funzione redentrice della Chiesa.

A onor del vero occorre però riconoscere che i prelati che vi si recavano (e presto ne conosceremo uno assai importante) non si limitavano a predicare sermoni di evangelico riscatto.

Ma era al secondo piano che si svolgeva l’attività più importante e lucrosa.

Al secondo piano, detto degli Scudi, sia gli avventori, sia le operatrici erano alquanto selezionati.

Non vi era un vero e proprio tariffario e non si accedeva neppure dall’interno (la scala interna che conduceva al secondo piano infatti, non era accessibile dal primo piano ed era anzi celata da una porta chiusa che ne impediva la vista e l’accesso).

La Matrona (la stessa che abbiamo incontrato ai magazzini di Pontelagoscuro il giorno in cui conobbe Giuditta, restandone così impressionata da proporle di lavorare, più con lei che per lei, come vedremo più avanti) era la vera anima organizzatrice della casa.

Il suo nome vero era Maturina (come si erano chiamate la mamma e la nonna) ed era venuta da Bologna a Ferrara, dopo aver esercitato la professione più antica del mondo nella città della prima università europea (e ancor prima a Firenze), con un bel gruzzoletto di sonanti scudi d’oro che aveva saputo investire nell’attività della Sconcia che abbiamo appena descritto.

I ferraresi, col tempo, vedendola ingrassare, un po’ per alterazione della pronuncia del loro idioma (che tendeva a mangiarsi le sillabe atoniche), un po’ per evidenziare l’aumento volumetrico della sua figura, presero a chiamarla la Matrona (e non mancava chi aveva poi simpaticamente francesizzato il nome, ribattezzandola in Madame la Maitresse).

Fu in quel secondo piano della Sconcia che Giuditta portò a compimento, affinandole con l’assiduità della pratica, quelle sensazioni che appena sedicenne, sin dalla prima volta in cui suo zio le aveva frugato tra le vesti con le mani bramose e tremanti, aveva avvertito come una forma istintiva di dominio della femmina sul maschio.

Quelle sensazioni, inizialmente emotive e confuse, si erano andate cogli anni chiarendosi e rafforzandosi, sino a diventare una ferrea sicurezza sulle sue capacità di ammansire e incanalare quelle tensioni, quei tumulti, quelle tempeste dell’anima che certe donne sanno suscitare sugli uomini e che comunemente si chiamano passioni.

E fu lì che Giuditta conobbe Pietro Marino De Regis e lì imparò ad amarlo, riconoscendo la sua sensibile fragilità, ammirando la sua intelligenza e sviluppando per lui un’ammirazione protettiva di cui avvertì tutta la prorompente carica affettiva quando un altro dei suoi clienti, don Agostino Barozzi, presidente del locale tribunale dell’Inquisizione, frequentatore abituale della casa del vice legato pontificio Pasini Frassoni, le confidò in quell’alcova segreta posta al secondo piano, che l’inviato segreto del re di Spagna (come lui chiamava l’hidalgo don Pedro Domingo Mendoza Martinez) aveva in mente di arrestare l’eretico De Regis, quel terzo lunedì del mese, in casa sua, in vicolo Vrespino, dove si sarebbe riunita tutta la compagnia farneticante di artisti e scrittori, a leggere i libri di poeti e scienziati indemoniati, gozzovigliando e fornicando, a sentir lui, come in un bordello.

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento

L'Appello dell'Infoibato

Se trovate in un burrone profondo uno scheletro legato con il fil di ferro a un altro scheletro, legato a un altro scheletro e a un altro an...