Ricordi di uno scolaro senza tempo dalle elementari alla cattedra, passando per le scuole medie, l’università e per le molte altre scuole della vita
di ignazio salvatore basile
4.
Anno scolastico
1963-64
In quell’anno scolastico 1963-1964,
insieme al fiocco azzurro della classe quarta, noi della classe di ferro 1954,
inaugurammo anche l’edificio delle nuove scuole elementari di via Vitale Matta.
La nostra nuova maestra si chiamava
signora Soro (il nome di Battesimo non lo ricordo). Era una bella signora, non
più giovanissima ma molto tenera e materna.
I ricordi di quell’anno scolastico sono
legati soprattutto a due episodi.
Mi era stata regalata una confezione
di colori: 24 matite nuove di zecca, dal
bianco al nero, passando per il quattro tonalità di verde e di azzurro, oltre,
naturalmente, al rosso, all’arancio, al giallo e così via enumerando.
Li avevo messi sul banco con orgoglio.
C’era in classe, tra i tanti, un certo
Carmelo, anche se tutti lo chiamavano “Cramelleddu”. Era un ragazzo, oggi lo
intuisco, che di colori nuovi fiammanti come quelli, nella sua vita scolastica,
forse non ne aveva mai visti; o magari
sì; non saprei. Quel che so per certo che a un certo momento, dopo essermi
distratto a far non so che, mi accorgo che Cramelleddu si è impossessato di una
manciata dei miei colori e, sbeffeggiandomi sardonico, si diletta a tentare di
colorare un suo foglio bianco, spuntandomeli alla grande, uno per uno.
Scoppiai in lacrime, lamentandomi per il
torto subìto. La maestra intervenne prontamente, facendo un sermoncino al mio
compagno sul rispetto delle cose altrui e sulla necessità di chiedere il
permesso al proprietario prima di utilizzarle.
Ho spesso ripensato a quell’episodio. Oggi
mi vergogno di essere stato così egoista. Avrei dovuto gioire per il fatto che
un mio compagno, sprovvisto del necessario, potesse divertirsi utilizzando i
miei colori.
Caro, vecchio Cramelleddu, se
per qualche miracolo della tecnologia informatica tu ti trovassi a leggere
questo mio scritto, sappi che io, se potessi tornare indietro, ti regalerei la
metà dei miei colori; naturalmente a condizione che tu poi me li prestassi, al
bisogno, e che non sghignazzassi con quel simpatico sorriso da canaglia che, a
turno, avevamo stampato in viso in quei lontani giorni, prima che il boom
economico ci facesse dimenticare il valore di una camera d’aria usata, di una
tavola di legno, di cuscinetti dismessi e perfino di un cerchione da
bicicletta da spingere a rotta di collo
con un corto bastone in mano.
continua...
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