giovedì 8 novembre 2018

Memorie di scuola - Parte prima



Ognuno di questi quartieri aveva la sua banda di ragazzini. Quella de su Guventu era capeggiata da Mariano, un tipetto dalla fama da duro, che non permetteva ai ragazzini degli altri quartieri di entrare nel suo, senza buscarle di santa ragione. Ricordo una sfida epica con lui e la sua banda, fatta di lanci di pietre (a mano libera e con la fionda, “su tirallasticu”, che noi stesso realizzavamo con una forcella di legno di  fico a “Y”, due strisce di camera d’aria in disuso e un pezzetta di cuoio forata ai lati).
In testa porto ancora il ricordo di quella e di altre sfide: “is istaffeddasa”, ovvero dei tagli visibili sulla cute, dovute all’impatto con i sassi taglienti.
A me toccava di stare in prima fila. L’obbligo mi discendeva dal fatto che io ero stato prescelto come capo-banda. Non tutti, però,  erano stati concordi nella scelta del capo; mi ricordo in particolare un caro amico di quei tempi andati: Rodolfo; avevamo la stessa età ma lui era più alto e robusto di me; quindi rivendicò per sé, non so dietro a quale altro pretesto,  la leadership; mi sfidò apertamente un pomeriggio d’estate, levandosi la maglietta e mostrando la  corazza di cuoio che gli copriva tutto il busto e che, a suo dire, lo rendeva invincibile e degno del comando. Più tardi mi confessò che si trattava di un busto ortopedico che gli era stato prescritto per risistemare non so bene quale sporgenza ossea; ma in quel momento credetti soltanto che si trattasse di un escamotage inventato per togliermi il bastone del comando faticosamente conquistato.
Alla vista di quella corazza, che Rodolfo scoprì con un urlo di minacciosa sfida, tutti i componenti della banda ammutolirono di colpo; ma quando capirono che non intendevo cedere il comando senza lottare si disposero in cerchio attorno a noi; ci studiammo a lungo, con finte e occhiatacce di sfida; io intuii che se mi avesse afferrato, corazza o non corazza, mi avrebbe stritolato; allora, istintivamente, escogitai un trucco che mi sarebbe servito negli anni a venire per atterrare avversari ben più temibili: mi lanciai in avanti afferrandolo dietro ai polpacci;  poi, tirando con forza verso di me, lo atterrai  pesantemente; paradossalmente, quella corazza, che lui credeva il suo punto di forza, si dimostrò invece quell’handicap che in effetti era, impedendogli di divincolarsi dalla  presa in cui lo avevo steso, con il peso del corpo e  le mie ginocchia sulle scapole che lo inchiodavano a terra. Alla mia affannosa domanda “t’arrendisi?” , lo spaventato amico non poté fare altro  che rispondere con un mesto assenso e il boato della banda decretò la mia vittoria;   Rodolfo si dimostrò un valido e leale luogotenente in tutte le nostre scorribande.
continua...

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