venerdì 8 marzo 2019

Memorie di scuola - Parte terza


PROLOGO
Quando ho iniziato a insegnare, nel 1987, ho trovato una scuola abbastanza simile a quella che avevo lasciato quasi quindici anni prima.
Nel 1990 ho fatto il primo corso di informatica. Non mi sono perso neppure i corsi di psicologia, quelli tenuti dai team delle ASL contro l’abbandono scolastico, contro il disagio giovanile, contro la dispersione scolastica; sono stato referente alla salute e ho studiato le strategie per la valorizzazione delle risorse umane, l’autostima, l’apprendimento consapevole,  compresa la strategia teatrale.
Di aggiornamento didattico neanche a parlarne. “ Vada pure a spese sue, se vuole, e si faccia sostituire dai suoi colleghi per le ore di cattedra”- mi diceva il vecchio preside.
Per fortuna avevo l’abilitazione alla professione di avvocato. Capii che l’unico modo per tenermi aggiornato era quello di iscrivermi all’albo  forense. In questo modo non ho perso di credibilità agli occhi di studenti sempre più svegli, sempre più aggiornati, sempre più difficili da accontentare (sul piano formativo, informativo  e didattico).
Nel frattempo una pletora di legislatori improvvisati e rampanti mettevano mano a riforme ambiziose e improbabili (tutte, naturalmente a costo zero) da tutto l’arco costituzionale e anche oltre, dopo lo sdoganamento degli anni novanta (credo che i nomi delle ministre  Moratti e Gelmini siano sufficienti, ma non dimentichiamo neppure i Berlinguer e gli altri).
Ci hanno mandato al fronte russo con le scarpe di cartone e le baionette, a combattere contro i tank superaccessoriati e le mitragliatrici di precisione.
Fuor di metafora, mentre i nostri discenti, nelle tasche interne dei loro capi firmati, custodivano gli I-phone da 800 Euro il pezzo, la maggior parte di noi faticavano a chiamare i propri cari da cellulari già obsoleti prima ancora che noi li comprassimo.
E nel frattempo lo Stato si sgretolava sotto le mazzate di “Mani Pulite”, le famiglie si sfaldavano oppure, nel migliore dei casi, venivano cooptate, (con o senza figli, o forse, meglio, con o senza genitori) nella grande rete delle nuove TV a colori,  ad assorbire i modelli educativi coi quali noi ci saremmo dovuti confrontare, a sentire certi soloni della psichiatria divulgativa, come una sorta di muraglia cinese, capace di arrestare quell’invasione scriteriata e fallace, trasformando quei modelli superficiali e sboccati, in altrettanti modelli di virtù sociale e politica.
Il tutto mentre i nani del circo della politica ci chiamavano fannulloni (per antonomasia e per partito preso), e le ballerine dell’harem del dragone tiravano su, in una serata di  balli intorno a un palo (con annessi e connessi),  quanto noi con  il nostro sudato stipendio mensile da insegnanti.
Non saremmo stati la muraglia cinese e neppure il vallo di Adriano,  ma se ancora c’è un’Italia, che forse può risorgere, oltre che nella  speranza di un’Europa Unita vera e concreta, questo lo si deve all’unica agenzia educativa che in questi anni ha cercato di sopperire alle carenze delle altre agenzie: quella familiare, quella informativa e quella istituzionale.
Qualcuno si chiederà per quale motivo un giovane laureato si butti in una simile tenzone.
Sarebbe facile, ma anche superficiale e mendace, rispondere che "col senno di poi, ne son piene le fosse".
Uno non si mette a insegnare per caso. Magari qualcuno lo ha fatto come ripiego, perché non ha trovato di meglio (mal gliene è sicuramente incolto! Non mi sarei mai voluto trovare al suo posto!); qualcun altro per provare, in cerca di meglio (ma quelli intelligenti sono scappati a gambe levate, di fronte alle grandi responsabilità);
La maggior parte di noi è dietro una cattedra per vocazione; proprio come un prete appresso alle sue pecore, a un medico nella corsia di un ospedale, a un commerciante dietro a un banco di vendite.
Che cogli anni questa vocazione possa svenire con le disillusioni di un datore di lavoro assente e insensibile (quando non addirittura ostile) è anche vero.
E' altresì vero che ancor prima  di Virgilio i versi non danno da mangiare, così come un attore, per vivere, era costretto a vivere ramingo, da una città all'altra, da un Paese all'altro.
Ecco, forse dietro ogni vero docente c'è un aspirante poeta; sicuramente c'è un attore, che invece di errare per le corti del mondo, si è messo dietro una cattedra e recita la sua parte, i suoi versi, le sue profezie, cercando di non essere una voce che grida nel deserto, o un Cyrano che parla alla luna o, infine, un attore condannato a recitare davanti a una platea vuota.
La verità è che siamo degli eroi senza medaglie e senza memorie.
In attesa delle medaglie (alle quali comunque non tengo affatto) io, alle soglie della pensione, ho iniziato a scrivere le mie memorie di scuola.

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