«Ti ricordi anni fa quegli episodi di
avvelenamento dell’acqua minerale nei supermarket?»
«Sì, vai avanti!» la
incoraggiò il commissario.
«Mi pare di ricordare che fra le sostanze
utilizzate per avvelenare le bottiglie d’acqua minerale ci fosse proprio il
fluoracetato di sodio… ti ricordi che il cadavere della signora Emma è stato
trovato in cucina?»
«Sì, certo. Ci siamo chiesti a lungo perché
l’assassino fosse stato sorpreso in cucina e, soprattutto cosa ci facesse in
quell’ambiente! Di solito i ladri non rovistano in cucina…»
«Mi son ricordato che Alessandro, il mio
assistito, mi ha raccontato che lui riforniva la zia dei generi alimentari e, a
titolo di esempio, mi elencava pasta, riso, pomodori pelati, acqua minerale…E
se il nostro uomo fosse andato in cucina per avvelenare una delle bottiglie di
acqua minerale della zia?»
«Ma certo! Dev’essere così!»
esclamò con ammirazione il commissario. «Lui
dopo essere entrato dal lucernaio della mansarda è andato in cucina e forse
contava, dopo aver avvelenato l’acqua, di trovare il testamento e distruggerlo…»
«Forse non sapeva che il testamento fosse custodito
nella cassaforte…»
«O magari sperava di trovare la chiave
insieme alle altre appese nell’ingresso…»
«Magari…!»
convenne l’avvocato pensierosa «Del resto, come diceva il
mio vecchio maestro, l’avvocato Serra-Laconi, il diavolo fa le pentole ma non i
coperchi…e a ben guardare, c’è sempre un errore o un punto debole, in ogni
disegno criminoso…»
«Quella donna era un pozzo di scienza
giuridica!» pensò ancora con ammirazione il
commissario.
«E sai cosa mi viene in mente adesso?!»
aggiunse di seguito Luisa.
Il commissario la guardò, aggiungendo la sorpresa a
quella sua ammirazione di prima.
«Che il nostro Andrea Picciau, se le cose
sono andate davvero così, dovrà rispondere di omicidio volontario e non più di
omicidio preterintenzionale o di quella figura tipica dell’omicidio d’impeto, assimilato
a quello preterintenzionale!»
«Non vorrei essere nei suoi panni. Anche se
è un assassino, in fondo, mi fa pena. Tutti i criminali, anche quelli che lo
fanno per professione, mi fanno pena. Ma questi tossicodipendenti, mi fanno
pena più degli altri.»
Luisa sembrò rabbuiarsi in viso. Gli rivolse uno
sguardo indefinibile; aveva gli occhi lucidi; il commissario pensò che fosse
turbata per le sue parole.
«Spero di non aver detto qualcosa di
sbagliato…» mormorò in tono mesto.
«No, no! Anzi, le parole che hai detto sui
tossicodipendenti sono bellissime e ti fanno onore…»
L’avvocato si interruppe di colpo, come se i suoi
pensieri le impedissero di continuare. Dopo una lunga pausa gli chiese di
colpo:
«Ti ho mai detto che avevo un fratello tossicodipendente?»
«Veramente non sapevo neppure che avessi un
fratello…» riuscì a dire il commissario stupefatto.
«Non ne parlo mai con nessuno…è come una
ferita aperta…eravamo gemelli…bizigoti ma comunque gemelli …e molto attaccati,
come tutti i gemelli. Se l’è portato via l’HIV, poco più che ventenne, nei
primi anni novanta…perché Santiago,
dimmi perché un giovane deve autodistruggersi con la droga?»
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