5.30.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-31

 



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Capitolo Nono 

Il sovrintendente Farci decise che sarebbe stato meglio andare a trovare Ninni Girau alias Sa Mantininca da suo cognato, che aveva un’officina da carrozziere dietro il cimitero di San Michele. Alessio Farci aveva pensato  che se lo avesse cercato a casa sua, nella zona di via Premuda, invero non distante dal cimitero, sarebbe stato più facile, per uno svelto come lui, sgusciargli dalle mani. Lì, in campo aperto, lo avrebbe affrontato meglio; tanto più che preferiva intervenire  da solo e non gli andava di scomodare una pattuglia solo per sentire dei testimoni per delle  informazioni sommarie.

Arrivò dunque in borghese e con una macchina civetta. Parcheggiò dall’altro lato del piazzale, al di là di una fitta fila di oleandri e si avviò a piedi verso l’officina. Appena sceso dalla macchina si era subito pentito di avere indossato le scarpe nuove che gli aveva regalato da poco sua moglie. Se le sentiva  strette, forse perché erano nuove e  i piedi presero subito a fargli male. Gli venne in mente un proverbio siciliano che ripeteva sua suocera, alla quale voleva bene per davvero, alla faccia dei luoghi comuni; ma forse questo dipendeva dal fatto che lui aveva perso la madre da ragazzo. I nemici dell’uomo sono tre, soleva ripetere sua suocera, nel suo dialetto siciliano che lui aveva cominciato a capire.  Scarpi stritti, vinu acidusu e pani maffutu, diceva la sua cara suocera. Scarpe strette, vino acetoso e pane ammuffito. Accidenti! Sul vino e sul pane non aveva molte esperienze dirette,  ma sulle scarpe aveva proprio ragione la madre di sua moglie! Meno male che non aveva parcheggiato troppo lontano e che  l’officina dove lavorava il  testimone che doveva sentire, gli  apparve subito in lontananza,   dall’altra parte dell’ampio piazzale  su cui si affacciavano diverse attività artigianali.

Il cognato di ‘Sa Mantininca’, titolare dell’officina,   aveva un tempo fatto parte di un’organizzazione specializzata nel traffico internazionale di automobili; un affare grosso: le auto rubate venivano rimesse a nuovo, con motori truccati e documenti contraffatti e poi rivendute all’estero. Un valzer pazzesco che portava un giro di soldi notevole. La banda era stata sgominata e adesso ‘Bomboletta’, come lo chiamavano tutti, rigava dritto da un pezzo. Aveva mantenuto però un fiuto infallibile per riconoscere gli sbirri, anche se lui, oramai, più dei poliziotti e dei carabinieri, temeva le visite della  guardia di finanza,  dato che praticamente, per far quadrare i conti e per non dare soldi al suo antico avversario, lo Stato, ,  lavorava quasi esclusivamente in nero; quanto a sa Mantininca,  sapeva da un  suo amico avvocato, che un cognato poteva lavorare in officina come familiare, senza bisogno di essere assicurato all’INPS.

«Guarda che sta arrivando la Giusta, o Ninni! Cosa hai combinato di nuovo?» disse Bomboletta vedendo arrivare il sovrintendente con fare indifferente (quelli della mala e gli spacciatori chiamavano ‘la Giusta’ i poliziotti; per i carabinieri preferivano ‘La Pula’, anche se la differenza la conoscevano ormai soltanto quelli della vecchia guardia).

«Niente ho fatto! Magari è qui per te!» si schermì Mantininca subito sulla difensiva.

«Buongiorno! Sono il sovrintendente Farci della Squadra Omicidi della Questura di Cagliari!» disse ai due cognati, che avevano continuato a lavorare come se niente fosse!

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5.25.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-29

 

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Al mattino, mentre si recava al mercato civico di San Benedetto, per il suo  consueto shopping alimentare del sabato mattino,  era passato davanti a un negozio di fiori e aveva vinto i suoi dubbi e le sue ritrosie. Le aveva mandato quindici rose rosse (dodici erano pari e non andava bene, gli aveva detto il fioraio; e tredici non andavano bene a lui; ) con un invito per il matinèe al teatro dell’opera, dove andava in scena, il giorno dopo,  la Carmen di Bizet.

«Volevo ringraziarti anche per l’invito a Teatro che accetto ben volentieri!» aggiunse Luisa Levi, tornando al suo consueto tono di voce, squillante e professionale, che al commissario piaceva comunque tanto.

«Benissimo. Allora ci vediamo domani! Passo a prenderti  alle 17,30!»

«D’accordo. Ma se la giornata lo consente, sarebbe bello andare a piedi. Da casa mia è sufficiente attraversare il Parco della Musica e siamo subito a Teatro!»

«Va bene. Parcheggerò nei dintorni e poi andremo a piedi!»

«Trattandosi di un matinée non penso di mettermi in abito da sera…»

Il commissario rifletté solo un attimo. L’avvocato Levi non parlava mai soltanto per parlare.

«Tranquilla, non mi metterò lo smoking! Forse un abito beige, addirittura..»

«Buono a sapersi!» commentò Luisa Levi soddisfatta. E subito dopo aggiunse:

«Com’è andata la riunione del venerdì?»

«Bene! Domani ti dirò» rispose il commissario che non amava intrattenersi troppo al telefono, neanche con una persona speciale come lei.

«Anche io ho delle novità  in proposito…» disse lei a sua volta.

«Non vedo l’ora di sentirle e non vedo l’ora di vederti!» si sbilanciò il commissario, per farle capire, ma con il dovuto garbo, che avrebbe preferito parlarne di persona.

Lei capì al volo e dopo qualche altro convenevole di prammatica si salutarono.

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5.22.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-27

 

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«Se siete d’accordo allora approfondirei, per il momento, queste due ipotesi. Restiamo pronti e aperti a ogni svolta. Del resto, se ci pensate bene, mentre sembra impossibile trovare un legame tra  l’indagato Alessandro Pirastu e quel topo d’appartamento, come lo chiamano? sa Mantininca, non sarebbe fuori contesto  un legame tra i due cugini.  Ma attenzione, qui c’è un gran però! Il cugino di Carbonia subentra nell’eredità in maniera diretta, per rappresentazione, dato che la madre, sorella della vittima, è già morta. Alessandro, l’altro cugino, senza testamento non becca l’ombra di un quattrino, perché prima di lui c’è il padre, collaterale di terzo grado, né più né meno, come la sorella defunta Anita, che però ha trasmesso il grado di parentela ai figli, Maria Grazia e Andrea»

«A questo non avevo pensato davvero, commissario!» esclamò Zuddas in tono di ammirazione «E anche un accordo tra una persona come Alessandro Pirastu e sa Mantininca mi parrebbe non plausibile. Resta pur sempre una remota possibilità che l’accordo possa magari esserci stato tra questo Mantininca e il cugino di Carbonia…»

«Ma infatti» convenne il commissario. «Non chiudiamo del tutto una simile eventualità. Se c’è un collegamento tra i due, vedrete che salterà fuori! Io sono sicuro di riuscire a procurarmi un elenco e una descrizione dei gioielli sin dai primi giorni della settimana prossima. Poi ne faccio una copia per ciascuno di voi e vediamo di scoprire che fine hanno fatto questi gioielli. Se da qualche ricettatore di Cagliari, oppure da qualcuno di Carbonia. Inoltre cerchiamo di scoprire dove si trovavano i due indiziati sullodati all’ora e nel giorno dell’omicidio. Verifichiamo i loro alibi. Io mi occupo delle indagini sul libretto postale e sulla carta del Bancomat che sono spariti insieme al testamento e agli altri documenti. E ci aggiorniamo alla settimana prossima!»

«Se vuole posso occuparmi io anche del libretto postale e della tessera bancomat!» disse il sovrintendente con la sua consueta disponibilità.

«Commissario, conti anche su di me!» confermò l’ispettore Zuddas.

Entrambi i collaboratori preferivano che il loro coordinatore si concentrasse sull’analisi dei fascicoli. Un po’ perché preferivano l’indagine sul campo e un po’ perché si rendevano conto di quanto De Candia volasse sempre una spanna più in alto di loro nell’analisi e nella verifica dei risultati delle varie indagini. E’ per questo che lo ammiravano incondizionatamente.

«No grazie, ragazzi. Penso di farcela ».

«Chi paga oggi l’aperitivo?» chiese Zuddas.

«Oggi pago io! Però devi promettermi che da qui al bar e anche al ritorno, non parlerai latino!»

«Videtur acceptum!» esclamò l’ispettore con tono provocatorio!

Il sovrintendente rispose per le rime! E spingendosi come due scolari, si avviarono tutti insieme al bar.

Il commissario si considerò fortunato ad averli tra i suoi collaboratori.

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5.20.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-25

 

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L’ispettore Zuddas, dal canto suo, riferì che aveva praticamente risolto i due casi di femminicidio, verificando da un lato l’effettiva  colpevolezza del primo degli assassini, suicidatosi subito dopo avere ucciso la propria compagna, che aveva deciso di lasciarlo. E aveva già raccolto  la confessione del secondo caso di uxoricidio loro affidato. In questa circostanza precisava il pignolo ispettore, si trattava di una coppia che si era sposata in giovanissima età. Con il tempo la donna era maturata e aveva sviluppato una forte personalità, anche in campo professionale, e aveva finito per surclassare l’uomo, il quale, ancorato a schemi arcaici nei rapporti di coppia, e incapace di gestire la nuova situazione dal punto di vista psicologico, aveva scelto la comoda scorciatoia di eliminare il problema alla radice, uccidendo la moglie con il suo fucile da cacciatore.  Adesso però a Zuddas  serviva un po’ di tempo per verificare ed eventualmente completare i documenti delle altre pratiche.

L’ultimo fascicolo che il commissario pose in evidenza fu quello dell’omicidio di via Giudicessa Adelasia.

Il sovrintendente Farci riferì subito che un loro confidente, infiltrato nella banda dei fratelli Cannas, noti anche nell’ambiente come ‘I fratelli Chiodi’, praticamente due boss di topi d’appartamento e di rubagalline del capoluogo e dell’hinterland cagliaritano, riferiva che nella zona dei Giudicati e di Piazza Giovanni operava un certo Ninni Girau, noto come sa Mantininca, che in cagliaritano identifica una scimmietta da circo e il tizio in questione doveva il suo soprannome all’agilità con cui si arrampicava sui tetti degli edifici. Poi si infilava attraverso finestre, lucernai, grate e strettoie varie, nei bar, nelle case, nei negozi e nei magazzini per ripulirli di quanto più prezioso gli riuscisse di arraffare. Sa Mantininca era uscito da ‘casanza’, come la mala cagliaritana chiama il carcere, nel mese di marzo del corrente anno, dove era entrato per la quarta volta pur essendo ben accreditato nell’ambiente della mala, grazie a una cinquantina di ‘sgobbi’, come la mala locale chiama i furti d’appartamento e dei negozi, realizzati con destrezza, anche in pieno giorno.

Farci, con la sua consueta solerzia si era già procurato dal Casellario Giudiziario la sua fedina penale.

Il commissario, sempre aggiornato con una meticolosità maniacale, sulle statistiche annuali dei reati denunciati, di quelli perseguiti e delle condanne che redigeva la Direzione competente del  Ministero degli Interni, commentò che la percentuale del sullodato Mantininca era in linea con le statistiche ufficiali del Ministero e si complimentò con il sovrintendente per l’ottimo lavoro svolto, mentre allegava i documenti e i fogli con gli appunti che Farci aveva consultato nella sua esposizione.

«Io direi che vale la pena di assumere dall’indagato informazioni utili!» aggiunse il commissario, precisando che a giorni avrebbe consegnato un elenco e una descrizione dei gioielli spariti dalla casa della vittima e che, di conseguenza, sarebbe occorso interessare i ricettatori della zona.

«E lo stesso farei per la zona di Carbonia! Che ne dici Zuddas?» aggiunse ancora De Candia rivolto all’ispettore che sembrava essersi assentato dal contesto, forse annoiato dalla pedanteria  del collega Farci che a lui, al contrario del commissario, non piaceva affatto.

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5.18.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-23

 


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 Fecero a ritroso la strada verso il basso e, rimessa ogni cosa al proprio posto, uscirono.

    Il sole, adesso, era sulla via del tramonto. Le rondini continuavano a garrire festose, mentre un’altra     colonia di fenicotteri, più numerosi di prima, si dirigevano in direzione degli stagni di Molentargius. O     forse ancora più in là, verso Quartu Sant’Elena.

        «Che fai ora?»

        «Vado a casa a farmi una bella doccia!» rispose il commissario senza pensare. «È da stamattina che         sono in giro!»

        «Perché non te la fai a casa mia la doccia?» disse con un sorriso malizioso Luisa Levi.

Al     commissario passò di colpo la stanchezza che aveva accumulato in quella giornata piena di lavoro.

    «Se non disturbo…» disse così, tanto per dire, e per nascondere l’emozione e la contentezza che quell’invito insperato gli avevano suscitato.

       «E chi dovresti disturbare? Ti sei dimenticato che mio figlio è in gita     scolastica, a Barcellona?»

        «Bene. Accetto volentieri, allora.»

    Quella sera, il commissario si fece una doccia memorabile, di quelle che rimangono scolpite nei ricordi.     Finirono insieme sotto la doccia, come due adolescenti, a insaponarsi a vicenda, e a spruzzarsi l’acqua         negli occhi. O più semplicemente come due amanti appassionati. Lui le baciò tutto il corpo, ancora         bagnato, mentre l’acqua scendeva sopra di loro, come una pioggia benedetta, calda e             confortevole.Cenarono insieme e Santiago scoprì così che lei aveva già cucinato per entrambi.A notte      


  fonda il commissario si ritrovò per strada, talmente lieto e sereno, che decise di fare a piedi la strada per     rientrare a casa. Gli sarebbe piaciuto fermarsi a dormire, ma si ricordò che si era ripromesso di non         essere troppo invadente e di lasciare che il loro rapporto crescesse piano, piano. Poco per volta, alla         giornata, come voleva lei. E come forse voleva anche lui.Quando arrivò a casa era davvero stanco. Quella     notte non riuscì a comporre le tessere del suo mosaico. Il sonno arrivò subito. Ma il commissario non fu     dispiaciuto, anzi!

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5.17.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-22

 

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De Candia la precedette e appena in cima si voltò e le tese la mano per aiutarla a completare l’ultimo tratto di gradini. La mansarda era scarsamente arredata con un lettino, un comodino, una sedia, un armadio in legno e una scala a libretto, aperta sotto uno dei due lucernari, proprio come l’aveva lasciata lui dopo il sopralluogo precedente.

«Secondo me i fatti sono avvenuti in questo modo! L’assassino è stato scoperto dalla vittima mentre rovistava in cucina, tralasciamo per adesso che cosa cercasse in cucina e perché si trovasse proprio lì. La vittima si è messa a urlare, magari perché il ladro era a viso coperto, o magari perché si è semplicemente spaventata. Allora il ladro ha afferrato un coltello e l’ha uccisa per farla tacere. Poi, forse, si è spaventato. Ha pensato di fuggire dalla porta ma deve avere sentito il rumore del nipote che stava arrivando e così ha cercato di nascondersi qui, nel piccolo bagno per gli ospiti, di sotto. Oppure, più verosimilmente, ha pensato di fuggire dalla stessa via da cui era penetrato in casa. Anche questo dettaglio andrà chiarito. Mi segui nel mio ragionamento?» chiese il commissario all’avvocato che si era seduta su un lettino che stava proprio sotto uno dei due lucernari che davano luce e aria alla mansarda.

«Ti seguo. Vai avanti» rispose la donna, guardandosi in giro.

«Quando ha sentito il trambusto che sicuramente hanno fatto i Carabinieri, arrivando come minimo a sirene spiegate, deve essere salito qui in mansarda per guadagnare una via di fuga. Però qualcosa lo ha fermato. Forse si è acquattato qua fuori, in questo anfratto esterno, proprio a ridosso della finestra, vieni a vedere!»

Santiago, non senza difficoltà, a causa della sua robusta corporatura, si era affacciato fuori dal lucernario. Scese però con insospettata agilità dalla scaletta in legno per consentire all’avvocato di salire a sua volta. Luisa Levi annuì dopo essere ridiscesa, invitando il commissario a continuare.

«Be’, magari per non rischiare di essere visto, avrà aspettato in cima alla scaletta, pronto a squagliarsela se soltanto avesse sentito qualcuno salire su per le scale.»

«Ma i Carabinieri, convinti di aver preso il vero e unico assassino non hanno neppure pensato di salire quassù a controllare!» lo anticipò con convinzione l’avvocato che ormai aveva capito dove volesse andare a parare l’arguto commissario, dando a intendere che condivideva la sua ricostruzione.

«Esattamente!» esclamò lui, contento che la sua amica lo seguisse e fosse d’accordo con la sua ipotesi. «Quando finalmente si sono calmate le acque è ridisceso e ha finito l’operazione per cui probabilmente era venuto. Svaligiare la casa della vittima.»

«Un topo d’appartamento. Certamente un ladruncolo dotato di sangue freddo!» commentò Luisa riflettendo.

«Ancora non sappiamo con certezza se sia davvero entrato con l’idea di rubare o di fare altro…» disse in maniera sibillina il commissario.

«Al di là di questo, la tua ricostruzione mi sembra abbastanza plausibile» convenne Luisa. «Vieni, rimettiamo tutto a posto e andiamocene!»

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5.15.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-20


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Sin da lunedì era stato  incerto se mandarle un mazzo di rose rosse, come soleva fare, seppure in occasione di ricorrenze, con sua moglie. Il suo sarebbe stato un gesto per manifestarle la sua ammirazione, il suo ringraziamento per la bella giornata trascorsa insieme. Un gesto per dichiarare apertamente la passione che provava per lei.

Poi aveva scelto  di non inviarle perché tra loro non c’era stata una vera e propria spiegazione in occasione del loro casuale incontro del sabato precedente. Anzi lui aveva capito che il silenzio di lei nei mesi precedenti era da attribuirsi, non tanto alla sua paura di innamorarsi, quanto piuttosto al timore che dall’innamoramento passionale si potesse passare a una relazione piatta e ordinaria, fatta di abitudine e routine.

Aveva deciso così di darle tutto il tempo di cui lei avesse avuto bisogno. Neanche lui, in fondo, era in cerca di una relazione standardizzata sull’ordinario, priva di emozioni e fatta di abitudini e convenzioni. Santiago si era, alla fine, adeguato a quella che sembrava essere la scelta di lei. Un rapporto senza vincoli, ricco di sincerità, ma anche di libertà. Amore e indipendenza e con una travolgente passione da vivere alla giornata.

Quando arrivò alla casa di via Giudicessa Adelasia lei era già lì che aspettava. Aveva ripreso le sue eleganti sembianze professionali, con il suo mezzo tacco nero, il tailleur sartoriale color amaranto, il suo preferito. I capelli raccolti in un elegante chignon e il trucco leggero, ma sapiente, donava ancora più luce ai suoi occhi e alla sua pelle.

Si salutarono affettuosamente, come due vecchi amici. Subito il commissario armeggiò con le chiavi che gli avevano dato in procura e che erano state sequestrate all’assistito dell’avvocato Levi, il presunto assassino con il coltello insanguinato in mano. Quando furono dentro casa l’avvocato provò le luci. La corrente c’era ancora, anche se non serviva. L’appartamento era luminoso e il sole illuminava ancora

quella bella giornata di maggio. Il commissario sollevò le tapparelle del salottino della casa della vittima di quel brutale assassinio, ancora avvolto nel mistero, ancora senza un colpevole vero. Dalla finestra vide un volo di fenicotteri, come una squadra di aerei, sfilare verso la zona degli stagni.

L’avvocato aprì la borsetta e consegnò la chiave al commissario, che nel frattempo aveva staccato dalla parete il quadro che copriva la cassaforte a muro. 

Luisa gli stava di fianco e si sollevò sulla punta dei piedi per vedere meglio l’interno della piccola cassaforte. Ma non c’era niente. Il commissario passò la mano destra su entrambi i ripiani, per esserne ancora più certo. La cassaforte era davvero vuota.

I due si guardarono. La più incredula sembrava però proprio Luisa.

«Mi ha detto il mio assistito che oltre al testamento, la zia ci teneva dei buoni postali nominativi, diversi gioielli personali, alcuni documenti, tra cui la carta d’identità e il codice fiscale.»

«Senti, e la chiave della signora dove potrebbe essere? Ho visto delle chiavi nell’ingresso…»

«Vado a prenderle!» si offrì lei prontamente. «Anche se so che la chiave della cassaforte, la signora Emma, la teneva nel primo cassetto del comò, insieme alla carta del bancomat e a piccole somme in contanti.»

«Io vado a fare una ispezione più accurata rispetto a sabato scorso!» disse il commissario mentre lei andava a prendere le chiavi.

5.11.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-17

 

Il commissario le fece da Cicerone, anche se in realtà a guidarlo non erano tanto le sue conoscenze dirette di quei luoghi, ma più che altro i racconti che  i suoi genitori, e sua madre in particolare,  gli avevano fatto in gioventù. Prendendola per mano affettuosamente il commissario la guidò nei diversi siti, ormai ammantati di un’aura monumentale. La sede della direzione, con gli uffici a piano terra, gli alloggi del direttore al primo e quelli dei dipendenti, tra cui suo nonno paterno, al secondo piano. L’ospedale con la chiesetta dedicata a Santa Barbara, protettrice dei minatori. La laveria, le officine per la manutenzione degli impianti, la vecchia linea ferroviaria, a scartamento ridotto, che trasportava piombo e zinco a San Gavino. E infine Telle, il villaggio dov’era nata sua madre,  ormai quasi inghiottito dalla vegetazione, che si stava riprendendo lentamente tutti gli spazi che gli uomini le avevano sottratto nei decenni precedenti.

«Sei stanca?» le chiese a un certo punto il commissario, timoroso di averla fatta camminare a lungo e per troppo tempo.

«No, per niente! Sei riuscito a farmi dimenticare, per una buona parte della mattinata i miei problemi quotidiani!» rispose con trasporto l’avvocato Levi.

«Meno male!» commentò il commissario sentendosi risollevato da quella risposta entusiasta e spontanea.«Adesso ti porto in un bel ristorante a recuperare un po’ di energie, perché poi, se non hai niente in contrario,  intendo arrivare sino a Buggerru!»

«Bene! Quest’arietta di montagna mi ha fatto venire un po’ di appetito!»

Ripresero l’auto e a un certo punto della strada provinciale imboccarono una strada secondaria che portava, secondo le indicazioni stradali,  alle grotte de ‘Su Mannau’. Lì, in mezzo ai boschi, c’era il ristorante a cui si riferiva il commissario.

«Speriamo che sia aperto!» esclamò l’avvocato Levi appena l’auto fu parcheggiata all’ombra di alcuni possenti alberi.

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Tutt’attorno, a vista d’occhio, non si vedevano altro che lecci, olivastri e macchia mediterranea.

«Tranquilla! Ho prenotato sin da ieri sera» disse il commissario.

5.07.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-13

 

«Eh già!» interloquì l’avvocato in maniera polemica. «Erano talmente sicuri di aver chiuso il caso che non hanno pensato altro che ad arrestare il povero nipote della signora Emma e a farsi intervistare e fotografare a destra e a manca!»

Il commissario sorrise, pensando che questa battuta sarebbe piaciuta molto a uno dei suoi collaboratori, che non perdeva occasione per criticare l’ossessione mediatica e la superficialità di certi settori della polizia giudiziaria.

«Che tipo è questo nipote?» chiese invece all’avvocato.

«Mah! In questo frangente non saprei davvero definirlo bene. È molto spaventato, oltre che dispiaciuto per il brutale assassino di una persona alla quale era sinceramente legato, che gli voleva bene e che perfino lo sovvenzionava generosamente, in cambio dell’aiuto disinteressato che lui le prestava con entusiasmo e con sincero affetto.»

L’avvocato fece una breve pausa, ma si intuiva chiaramente il suo desiderio di  continuare a parlare, quantunque non sapesse bene cosa dire.

«Posso dirti una cosa strettamente riservata!»

Il commissario si sentì prudere il naso. Questo succedeva quando nell’aria c’era una notizia su cui esercitare la massima dell’attenzione. O perché era in vista un inganno, oppure perché stava per venire a conoscenza di qualcosa di importante. Era il suo naso da sbirro a suggerirglielo e il suo naso difficilmente sbagliava.

«Certo, parla liberamente!» la incoraggiò il commissario, continuando a guidare.

«Io te la dico, ma devi promettermi che non la userai mai contro il mio assistito, qualunque cosa accada!» ribadì ancora l’avvocato Levi.

Anche lei aveva un alto senso del segreto professionale e forse, in fondo si era già pentita di avere fatto l’offerta. Ma ormai sembrava tardi per tornare indietro.

Il commissario restò interdetto, tra dubbi e curiosità! L’informazione riservata lo incuriosiva, e poi poteva essere utile per le sue indagini. Come privarsene? D’altro canto, però, non sarebbe mai venuto meno ai suoi doveri di sbirro, su questo non aveva dubbi. Credeva nel suo lavoro sino in fondo e non lo avrebbe mai disatteso. Risolse pensando che quell’avvocato, quel diavolo in gonnella, non gli avrebbe mai rivelato un segreto che potesse danneggiare il suo assistito, che oltretutto, a parere suo, nonostante le osservazioni capziose dell’ispettore Zuddas, era completamente innocente.  Decise di fidarsi e dopo essersi passato una mano sul naso che gli prudeva rispose di sì, che non avrebbe mai usato quella confidenza contro il suo assistito.

«Promessa di sbirro?» ribadì ancora l’avvocato, a metà tra il serio e il faceto, sapendo bene come il commissario fosse fiero e orgoglioso di essere un poliziotto con una parola ferma e fidata.

«Parola di sbirro!» le confermò porgendole l’indice della mano destra per sigillare la promessa.

L’avvocato strinse forte l’indice con il suo.

«Il mio assistito mi ha confidato che la zia lo aveva nominato erede universale con un testamento!» aggiunse subito.

Questa sì che è una notizia bomba, pensò il commissario.

«Meno male che gli avventori del bar di Tonio non lo sanno! Altrimenti scoppierebbe una mezza rivoluzione!» celiò invece, cercando di sminuire l’effetto che aveva prodotto su di lui quella notizia.

«Chi sono questi avventori e che cos’è questa storia della rivoluzione?» chiese l’avvocato divertita, ma con un tono lievemente preoccupato.

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5.06.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-12

 

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Capitolo Quinto

Alle nove e mezza in punto il fuoristrada del commissario De Candia si fermò in via Torbeno, all’altezza corrispondente al numero civico che figurava nel bigliettino che la sua amica gli aveva dato il giorno prima. L’avvocato Levi comparve subito davanti all’ingresso. Indossava dei pantaloni neri e un comodo giubbotto in pelle ben sagomato, chiuso in alto da un foulard dai colori vivaci. Ai piedi calzava scarpe con il tacco basso. Una capiente borsa e un capello a larghe falde completavano il suo abbigliamento. Santiago la vide più che mai affascinante, ma si limitò a un saluto affettuoso e compassato.

Quando furono sulla strada statale 131, la storica arteria che ancora collega Cagliari e Sassari, denominata Carlo Felice, in onore del monarca sabaudo che per primo volle collegare le due principali città del suo regno, Luisa Levi, dopo i convenevoli di rito, chiese come fosse andato il sopralluogo del giorno prima in via Giudicessa Adelasia.

Il commissario Santiago ci aveva pensato prima di addormentarsi e ne approfittò per esprimere a voce alta alcuni dei dubbi che gli erano sorti. Di solito non parlava mai con nessuno, al di fuori della Questura, delle indagini che erano in corso. Al riguardo la sua riservatezza era pressoché totale. Ma con l’avvocato era diverso. In qualche modo le ricordava sua moglie. Aveva imparato a fidarsi di lei e in nessun modo sentiva di venir meno al suo dovere di mantenere il dovuto riserbo professionale. Anzi, il suo istinto di sbirro lo induceva a ritenere che un confronto con quella donna potesse essere utile allo sviluppo delle sue indagini.

«Mi chiedevo da dove possa essere entrato l’assassino» disse affrontando uno dei dilemmi che lo avevano tenuto occupato la sera precedente, prima di addormentarsi. «A parte la possibilità che sia stata la vittima ad aprirgli la porta per ingenuità o per conoscenza del suo assassino, non so proprio che dire. Ispezionando la casa ho pensato che una via di accesso clandestino possa essere stato dalla mansarda. Infatti, lì ci sono due lucernari, con apertura a ribalta. Entrambi li ho trovati aperti. Ma mentre uno era fissato con l’apertura per la ventilazione, che consiste nell’appoggio del telaio a una levetta a scomparsa, estraibile ad angolo retto per il fissaggio, l’altra era semplicemente appoggiata al telaio, come se qualcuno l’avesse aperta per entrare, o magari anche per uscire, e non l’avesse risistemata. E questo secondo lucernario, per combinazione, è proprio quello che consente l’immissione nei tetti circostanti, mentre l’altro guarda nel vuoto, esattamente dalla parte opposta!

«Mmm» fece l’avvocato riflettendo. «Io purtroppo non ho potuto ispezionare la casa, che come tu sai bene è ancora sotto sequestro. Però il mio assistito, quando ho affrontato lo stesso problema con lui, mi ha descritto questa mansarda, confermandomi che su incarico della zia, era stato lui, all’inizio della primavera, ad aprire in modalità ventilazione i due lucernari, altrimenti chiusi durante la stagione delle piogge. Io purtroppo non ho avuto neppure l’accesso agli atti di indagine, ancora secretati, ma mi chiedevo se i Carabinieri che hanno proceduto all’arresto abbiano fatto un sopralluogo nella casa prima di mettere i sigilli»

«Purtroppo dai verbali non risulta alcun sopralluogo ai locali della mansarda!»

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5.04.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-11

 

«Ho programmato di recarmi  al parco Geominerario di Montevecchio» aggiunse speranzoso il commissario.

«Al Parco Geominerario? E come mai?» chiese l’avvocato, con quel suo fare guardingo, che usava forse per guadagnare tempo.

«Non ti ho mai detto che le mie radici, almeno in parte, sono proprio in quella zona?»

«No, questo mi mancava. Allora accetto! A patto che mi racconti bene questa storia delle radici!» disse con quel suo sorriso affascinante che a lui era piaciuto sin dalla prima volta che l’aveva conosciuta.

«Contaci. Dimmi il numero civico che passo a prenderti! Alle nove e mezza è troppo presto per una domenica?»

«No, va benissimo. Suona il campanello dell’abitazione che sta allo stesso numero civico dello studio» disse porgendogli un bigliettino.

«Grazie. A domani» confermò il commissario mettendolo in tasca.

«A domani, allora.»

«Ah! Volevo dirti che quando ci siamo incontrati venivo da un sopralluogo che ho fatto in via Giudicessa Adelasia» aggiunse subito il commissario prima di accommiatarsi.

«Non mi dire che la Procura ti ha fatto la delega per le indagini?» disse l’avvocato illuminandosi in viso.

«Sì, proprio così! Ancora una volta saremo su fronti contrapposti!» annuì l’uomo.

«Tu credi?» proruppe l’avvocato con grinta. «Guarda che invece potrei affiancare proprio la Procura in Corte d’Assise come parte civile! Il mio assistito è parte lesa in questa storia!»

Questa donna è un avvocato nel fondo dell’anima, pensò il commissario con ammirazione.

«Lo dici per non farmi chiudere nel segreto professionale!» disse invece un po’ per scherzo e un po’ perché lo sbirro che c’era in lui lo portava a sospettare anche quando si trovava davanti una persona che stimava. E ancor più se per questa persona provava qualcosa in più di una pur sincera stima.

«No, affatto!» disse lei ammorbidendo i toni. «E te lo dimostrerò domani stesso!»

«Va bene! A domani alle nove e mezza!»

Guardandola allontanarsi a Santiago venne in mente una frase che suo padre ripeteva spesso. «Ringraziamo il Padreterno per aver creato le donne. Guai se non ci fossero. Ma visto che c’era, perché non le ha fatte meno complicate?»

Il suo vecchio, veramente, al posto di complicate usava un’altra e più colorita espressione. Ma non gli andava di riferirla a quella donna che aveva casualmente ritrovato. E si rese conto che non aveva pensieri così piacevoli da tanto tempo.

E la notte, il sonno, giunse più lieto e più soave che mai.

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