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Capitolo Nono
Il sovrintendente Farci decise che sarebbe stato
meglio andare a trovare Ninni Girau alias Sa Mantininca da suo cognato, che
aveva un’officina da carrozziere dietro il cimitero di San Michele. Alessio
Farci aveva pensato che se lo avesse
cercato a casa sua, nella zona di via Premuda, invero non distante dal
cimitero, sarebbe stato più facile, per uno svelto come lui, sgusciargli dalle
mani. Lì, in campo aperto, lo avrebbe affrontato meglio; tanto più che preferiva
intervenire da solo e non gli andava di
scomodare una pattuglia solo per sentire dei testimoni per delle informazioni sommarie.
Arrivò dunque in borghese e con una macchina civetta.
Parcheggiò dall’altro lato del piazzale, al di là di una fitta fila di oleandri
e si avviò a piedi verso l’officina. Appena sceso dalla macchina si era subito
pentito di avere indossato le scarpe nuove che gli aveva regalato da poco sua
moglie. Se le sentiva strette, forse
perché erano nuove e i piedi presero
subito a fargli male. Gli venne in mente un proverbio siciliano che ripeteva
sua suocera, alla quale voleva bene per davvero, alla faccia dei luoghi comuni;
ma forse questo dipendeva dal fatto che lui aveva perso la madre da ragazzo. I
nemici dell’uomo sono tre, soleva ripetere sua suocera, nel suo dialetto
siciliano che lui aveva cominciato a capire.
Scarpi stritti, vinu acidusu e
pani maffutu, diceva la sua cara suocera. Scarpe strette, vino acetoso e
pane ammuffito. Accidenti! Sul vino e sul pane non aveva molte esperienze
dirette, ma sulle scarpe aveva proprio
ragione la madre di sua moglie! Meno male che non aveva parcheggiato troppo
lontano e che l’officina dove lavorava
il testimone che doveva sentire,
gli apparve subito in lontananza, dall’altra
parte dell’ampio piazzale su cui si
affacciavano diverse attività artigianali.
Il cognato di ‘Sa Mantininca’, titolare
dell’officina, aveva un tempo fatto
parte di un’organizzazione specializzata nel traffico internazionale di
automobili; un affare grosso: le auto rubate venivano rimesse a nuovo, con
motori truccati e documenti contraffatti e poi rivendute all’estero. Un valzer
pazzesco che portava un giro di soldi notevole. La banda era stata sgominata e
adesso ‘Bomboletta’, come lo chiamavano tutti, rigava dritto da un pezzo. Aveva
mantenuto però un fiuto infallibile per riconoscere gli sbirri, anche se lui,
oramai, più dei poliziotti e dei carabinieri, temeva le visite della guardia di finanza, dato che praticamente, per far quadrare i conti
e per non dare soldi al suo antico avversario, lo Stato, , lavorava quasi esclusivamente in nero; quanto
a sa Mantininca, sapeva da un suo amico avvocato, che un cognato poteva
lavorare in officina come familiare, senza bisogno di essere assicurato all’INPS.
«Guarda che sta arrivando la Giusta, o
Ninni! Cosa hai combinato di nuovo?»
disse Bomboletta vedendo arrivare il sovrintendente con fare indifferente
(quelli della mala e gli spacciatori chiamavano ‘la Giusta’ i poliziotti; per i
carabinieri preferivano ‘La Pula’, anche se la differenza la conoscevano ormai
soltanto quelli della vecchia guardia).
«Niente ho fatto! Magari è qui per te!»
si schermì Mantininca subito sulla difensiva.
«Buongiorno! Sono il sovrintendente Farci
della Squadra Omicidi della Questura di Cagliari!»
disse ai due cognati, che avevano continuato a lavorare come se niente fosse!
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