1 CAPITOLO
«Tina, io dico che Moses sarebbe un ottimo domatore di
animali con un futuro certo e il pane assicurato!»
«E io ti dico che il ragazzo ha dei talenti che vanno
valorizzati proseguendo con lo studio! E poi, non hai mai sentito dire, che non
si vive di solo pane?»
Atticus Maimone cambiò tattica, pur di averla vinta.
«D’accordo. Ma ti sei fatta bene i conti? Sai quanto
costerà mantenerlo a scuola fuori di qui?»
«Non ti preoccupare. Ho dei risparmi da parte destinati a
quello scopo. Inoltre potrei anche incrementare l’attività della mia sartoria,
se fosse necessario.»
Questi sono alcuni dei pochi ricordi che mi porto
appresso del mio passato. Non saprei neppure dire dove e quando siano accaduti
questi eventi; io li ricordo e basta; ma come se si trattasse di un sogno
lontano.
Io mi sentivo sballottato come una palla da gioco, tra Atticus che diceva una cosa, e Costantina che sosteneva l’esatto contrario.
Se mi avessero chiesto che cosa avessi voluto io, non
avrei saputo cosa rispondere, ma nessuno me lo chiese. Così mi rimisi alla
sorte e avrei seguito la strada di quello dei due contendenti che avesse
prevalso sull’altro.
Alla fine prevalse la tesi di Tina e fui mandato a
frequentare la scuola fuori dal circo.
All’inizio fu dura. La vita era assai diversa in quella
scuola. La libertà che avevo goduto al circo divenne presto un nostalgico
ricordo. Tutto ruotava intorno allo studio.
Per fortuna studiare mi piaceva e piano, piano, riuscii a
vincere la lontananza buttandomi a capofitto sui libri.
Studiare all’esterno aprì la mia mente e potei posare il
mio sguardo sul mondo. Come ci ripetevano spesso i nostri professori, studiare
è come salire su per una grande scala. Quanto più si studia, tanto più in alto
si sale.
E dall’alto è più facile osservare
e analizzare il mondo.
Stando fuori dal Circo, nel quale avevo trascorso tutto
il mio tempo precedente al trasferimento nella scuola, potei osservare quella
realtà del mio passato dall’esterno, applicando gli stessi criteri e lo stesso
modo di ragionare che andavo sviluppando sotto la guida dei miei sapienti e
anziani precettori.
Visto dall’alto della mia nuova posizione, il nostro
circo, mi appariva ora come un nobile decaduto. Pensavo sempre che esso fosse
ancora il circo più importante del mondo, ma ero indotto a pensarlo da ragioni
affettive, da motivazioni di carattere campanilistico.
Il nostro circo era sì avvolto in quella sua aura di
nobiltà insigne e invincibile, ma ragionando con la realtà di fatti, non potevo
non rendermi conto che altri circhi, di altre città, lo avevano sostituito
nella primazia.
In estate e per le feste comandate la scuola ci
permetteva di ricongiungerci alla nostra famiglia. Per me era sempre una grande
festa ritornare al circo, anche se mi accorgevo di essere diventato sempre più
chiuso in me stesso.
Trascorrevo quasi tutto il tempo delle vacanze chiuso in
casa. Mentre Tina lavorava ai suoi costumi, io leggevo e svolgevo i doveri
scolastici che ci erano stati assegnati; oppure parlavamo, anche se nessuno di
noi era un gran chiacchierone.
Alla fine mi accorsi che quasi non vedevo l’ora di
tornare al collegio.
Col tempo, quasi senza accorgermene divenni sempre più
introverso e solitario. Non so se sia
stata la mia timidezza a spingermi verso quella svolta involutiva,
oppure il mio senso del dovere e la voglia di gratificare proprio Tina e i
sacrifici che lei faceva per avviarmi agli studi.
Eppure, a un certo punto, qualcosa che anche a distanza
di tanto tempo non riesco a focalizzare con chiarezza, mi spinse a chiedere di
lasciare il Collegio.
Fu una forza tanto irresistibile, quanto inspiegabile;
con la ragione riflettevo che non fosse giusto lasciare gli studi e ripagare
con quella cattiva moneta i sacrifici di Tina, che aveva sempre creduto in me;
ma con il cuore, con i sentimenti, sentivo di
dover rientrare nel mondo del Circo.
Era lì la mia vita, era lì che volevo stare, per sempre.
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