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Capitolo 1
Il vecchio notaio Joseph Nacho Salvador Sales si fermò, non solo
per riprendere fiato, ma anche e soprattutto perché, a quel punto, era prevista
la risposta dei vassalli e il conseguente
giuramento per conferma dei due consiglieri del Consiglio di
Comunicazione, Efisio Blas Vargiu e Francisco Lorenzo Vaquer, in qualità di
rappresentanti dei vassalli.
Soltanto allora avrebbe potuto concludere il rito della presa di
possesso del feudo in capo al nuovo marchese. Così aveva fatto egli stesso,
venticinque anni prima, per
l’infeudazione del padre di Don Carlos,
Don Arbal e così era stato fatto da tempo immemore, o almeno sino dai tempi in
cui, ed erano trascorsi molti secoli, il primo signore degli Alagon era stato
infeudato da Ferdinando d’Aragona in quello che allora era soltanto uno
spopolato villaggio e adesso contava ben cinque Partiti di ventisette Ville
complessive.
Un coro di proteste si levò invece dalla folla presente che il
messo comunale era riuscito a suon di tamburo e di corno a radunare nel cortile
della Casa Forte, il centro di quel potere feudale da lui decantato a norma di
legge.
«Basta con questi antichi vassallaggi!»
«Siamo stanchi di pagare!»
«Non ce la facciamo più»
«La legge è cambiata!»
«Non avete più i titoli per imporci questi odiosi tributi!»
«Evviva Carlo Alberto Re di Sardegna!»
«A morte i baroni e i marchesi austriaci e spagnoli!»
In un crescendo di rabbia e frustrazione adesso il popolo dei
vassalli si era sollevato in una voce sola.
«Que pasa?», chiese il Sostituto Podatario Don Josep Mendoza al
commissario dell’Udienza Reale Dottor Hernan Cany. Nonostante il potere fosse
passato ai Savoia da più di un secolo, certi funzionari, specialmente quelli
legati alla nobiltà del passato regime, parlavano tra loro ancora in lingua
castigliana.
«No sé», rispose il commissario della Reale Udienza preso di
sorpresa. Poi rivolto al notaio, nella lingua sarda che l’uomo stesso aveva
usato per farsi intendere dai presenti.
«Cosa sta succedendo signor notaro?»
«I due consiglieri qui presenti mi hanno appena comunicato che i
vassalli non intendono promettere obbedienza al nuovo padrone. Tra loro gira la
voce che il Re Sardo abbia emanato un editto con il quale avrebbe abolito i
diritti del feudo».
Il Sostituto Podatario, che detestava nel profondo del cuore i
vassalli sardi, inviperito inoltre per aver dovuto sostituire il titolare
all’ultimo momento, si sporse dal ballatoio e con fare minaccioso, stringendo
il pugno della mano destra, si mise a inveire nella sua lingua madre, che era
quella castigliana, con irripetibili improperi che investivano direttamente le
madri innocenti dei vassalli ribelli.
Antoni Pinna, figlio di una popolana e di padre ignoto, ovvero di
N.N., come si usava annotare allora nei registri del battesimo in quei casi,
che forse aveva persino sangue spagnolo nelle vene e che delle invettive urlate dal Sostituto Podatario aveva
sicuramente afferrato quella che considerò un’offesa e un oltraggio imperdonabili a sua madre, si fece largo tra
la folla dei vassalli, prese di mira l’esagitato Podatario con il suo moschetto
ad avancarica e lo centrò in pieno petto, urlando a sua volta: «Bagassa manna
mamma tua!».
Forse fu più sorpreso lo stesso Antoni di quel centro fortunoso,
anche se la distanza non superava probabilmente i cinquanta metri.
Dopo un attimo di incertezza, allo stupore, frammisto ad orgoglio,
per quel centro portentoso, vedendo l’uomo accasciarsi pesantemente tra le
braccia dei vicini, subentrarono la coscienza di aver ferito gravemente il
rappresentante di un uomo potente, il marchese padrone del feudo, e la paura
delle conseguenze. Tanto più che l’Ufficiale di Giustizia e il Maggiore,
stringendo ancora tra le braccia il corpo inerte del Podatario supplente, si
misero a urlare ai presenti di afferrare l’assassino per assicurarlo alla legge
mentre prestavano le prime cure al ferito.
Antoni si mise a correre
come un pazzo.
Attraversata la via reale, si infilò nel Bosco de Is Murtas e lì,
nonostante il pronto inseguimento del tenente e di due miliziani presenti al
raduno, fece perdere le sue tracce, essendo più giovane e più veloce dei suoi
inseguitori.
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