martedì 15 ottobre 2024

Dopo l'uccisione di Aldo Moro

 


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Capitolo Terzo


A Londra, Dario si era lasciato con Bice, la sua ragazza. Era stato combattuto ma alla fine, sull’affetto che sentiva per quella ragazza così diversa da lui, aveva prevalso il suo carattere disfattista. Lei sognava soltanto una storia d’amore qualunque, fatta di alti e bassi, anche di litigi e incomprensioni e di paci subitanee. Niente di eccezionale e, sullo sfondo, anche un figlio se fosse arrivato, perché no? Lui invece aveva la testa piena di fanfaluche, di deliri, di fughe in avanti, verso una rivoluzione impossibile che, secondo le sue illusioni, avrebbe cambiato veramente il mondo. Bice lo amava al punto che lo avrebbe seguito perfino in quel suo delirio di onnipotenza. Lei, che detestava la violenza e non avrebbe fatto male a una mosca. E lui non avrebbe mai voluto coinvolgerla in quella strada che aveva deciso di intraprendere. La via della lotta armata, l’unica capace di acquietare il suo animo inquieto.  

Grazie a un conoscente di suo padre era stato assunto, con un contratto a termine, come operaio metalmeccanico in un’importante industria di Genova.

L’aria che si respirava lì, dopo l’uccisione di Aldo Moro avvenuta a Roma molti mesi prima, lo aveva esaltato. Da Torino erano giunti in città nuovi compagni, tutti validi organizzatori, terroristi di lungo corso, gente in gamba, che aveva tessuto una rete di simpatizzanti e aderenti, nelle cui trame lui era rimasto invischiato alla grande. Quei terroristi erano davvero dei grandi e sarebbero riusciti a spodestare i maialoni al potere. E lui voleva essere con loro quando questo fosse avvenuto. Non avrebbe trascorso la sua vita a faticare sul tornio o nella catena di montaggio per un salario di sopravvivenza.

Così quando Vittorio, il collega che lo aveva praticamente affiliato, gli propose di fare parte del nucleo armato che doveva eseguire un’azione punitiva nei confronti di una spia dei padroni, un sindacalista che aveva avuto l’unico torto di continuare a credere che la condizione degli operai andasse migliorata con una lotta politica di opposizione democratica, decise di aderire. Quello sarebbe stato il suo battesimo di fuoco. Si sentiva invincibile, quella mattina, con quella cocaina in corpo, che tutto il commando aveva sniffato per calmare i nervi. Soltanto il giorno dopo si rese conto che il sindacalista non era stato gambizzato. La spedizione punitiva aveva avuto come esito la morte. Non era stato un incidente, gli spiegarono, ma un atto di giustizia. Una sentenza del popolo subito eseguita. Soltanto lui non lo aveva compreso.

« Io avevo capito che si trattava di una spedizione punitiva».

«E infatti lo abbiamo punito a dovere. Non credi?»

«Belìn, ma i giornali dicono che è morto».

«Era la fine che si meritava, quella spia. Ma come pensi che si possa arrivare a prendere il potere?»

«Ma era uno di noi, un rappresentante dei lavoratori».

«Era uno che aveva fatto arrestare i nostri compagni, lo capisci?  Li aveva denunciati alla polizia. Come volevi compensarlo se non con del piombo caldo?»

Vittorio si era reso conto che quel nuovo adepto era sotto shock e che sarebbe stato pericoloso lasciarlo in circolazione. Era un bravo ragazzo e non voleva perderlo ma non poteva rischiare. D’altronde le nuove linee direttrici nella politica di reclutamento andavano nel senso di arruolare quanti più giovani si poteva, perché la rivoluzione sarebbe riuscita soltanto coinvolgendo la maggior parte della popolazione.

«Senti, Dario, quando ti scade il contratto?»

«A fine aprile, perché?»

«Ho una missione importante da chiederti. Questa volta sarai solo e non si tratta di punire nessuno».

«E di cosa si tratta?», chiese Dario senza troppo entusiasmo.

«Stiamo allacciando dei contatti importanti in Sardegna. Dovresti recarti lì, come nostro rappresentante. Te la senti?»

Dario pensò che quella sarebbe stata l’occasione per defilarsi. Se ne sarebbe andato da Fabrizio o dai parenti di sua madre e lì avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Magari si sarebbe costruito un’altra vita. Adesso, era importante allontanarsi per pensare e mandare giù questo rospo terribile che gli si agitava in gola.

«Va bene, accetto».

«Benissimo. Sono contento. Animo, dunque. Stiamo crescendo e cresceremo ancora, anche in Sardegna. A tempo debito ti fornirò i nomi dei nostri referenti a Nuoro».

«D’accordo, quando devo partire?»

«Magari in estate, con comodo. Poi ne riparliamo».

La pausa pranzo era finita per entrambi e tornarono così alle loro incombenze. Dario con i suoi crucci interiori, Vittorio con le sue trame di potere, dentro le loro anonime tute blu.

 

 

 

 

 

 

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