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Capitolo
Terzo
A Londra, Dario si era
lasciato con Bice, la sua ragazza. Era stato combattuto ma alla fine, sull’affetto che sentiva per
quella ragazza così diversa da lui, aveva prevalso il suo carattere
disfattista. Lei sognava soltanto una storia d’amore qualunque, fatta di alti e
bassi, anche di litigi e incomprensioni e di paci subitanee. Niente di
eccezionale e, sullo sfondo, anche un figlio se fosse arrivato, perché no? Lui
invece aveva la testa piena di fanfaluche, di deliri, di fughe in avanti, verso
una rivoluzione impossibile che, secondo le sue illusioni, avrebbe cambiato
veramente il mondo. Bice lo amava al punto che lo avrebbe seguito perfino in
quel suo delirio di onnipotenza. Lei, che detestava la violenza e non avrebbe
fatto male a una mosca. E lui non avrebbe mai voluto coinvolgerla in quella
strada che aveva deciso di intraprendere. La via della lotta armata, l’unica
capace di acquietare il suo animo inquieto.
Grazie a un conoscente di
suo padre era stato assunto, con un contratto a termine, come operaio
metalmeccanico in un’importante industria di Genova.
L’aria che si respirava
lì, dopo l’uccisione di Aldo Moro avvenuta a Roma molti mesi prima, lo aveva
esaltato. Da Torino erano giunti in città nuovi compagni, tutti validi
organizzatori, terroristi di lungo corso, gente in gamba, che aveva tessuto una
rete di simpatizzanti e aderenti, nelle cui trame lui era rimasto invischiato
alla grande. Quei terroristi erano davvero dei grandi e sarebbero riusciti a
spodestare i maialoni al potere. E lui voleva essere
con loro quando questo fosse avvenuto. Non
avrebbe trascorso la sua vita a faticare sul tornio o nella catena di montaggio
per un salario di sopravvivenza.
Così quando Vittorio, il
collega che lo aveva praticamente affiliato, gli propose di fare parte del
nucleo armato che doveva eseguire un’azione punitiva nei confronti di una spia
dei padroni, un sindacalista che aveva avuto l’unico torto di continuare a
credere che la condizione degli operai andasse migliorata con una lotta
politica di opposizione democratica, decise di aderire. Quello sarebbe stato il
suo battesimo di fuoco. Si sentiva invincibile, quella mattina, con quella
cocaina in corpo, che tutto il commando aveva sniffato per calmare i nervi.
Soltanto il giorno dopo si rese conto che il sindacalista non era stato
gambizzato. La spedizione punitiva aveva avuto come esito la morte. Non era
stato un incidente, gli spiegarono, ma un atto di giustizia. Una sentenza del
popolo subito eseguita. Soltanto lui non lo aveva compreso.
« Io avevo capito che si
trattava di una spedizione punitiva».
«E infatti lo abbiamo
punito a dovere. Non credi?»
«Belìn, ma i
giornali dicono che è morto».
«Era la fine che si
meritava, quella spia. Ma come pensi che si possa arrivare a prendere il
potere?»
«Ma era uno di noi, un
rappresentante dei lavoratori».
«Era uno che aveva fatto
arrestare i nostri compagni, lo capisci? Li aveva denunciati alla polizia. Come volevi
compensarlo se non con del piombo caldo?»
Vittorio si era reso
conto che quel nuovo adepto era sotto shock
e che sarebbe stato pericoloso lasciarlo in circolazione. Era un bravo ragazzo
e non voleva perderlo ma non poteva rischiare. D’altronde le nuove linee
direttrici nella politica di reclutamento andavano nel senso di arruolare
quanti più giovani si poteva, perché la rivoluzione sarebbe riuscita soltanto
coinvolgendo la maggior parte della popolazione.
«Senti, Dario, quando ti
scade il contratto?»
«A fine aprile, perché?»
«Ho una missione
importante da chiederti. Questa volta sarai solo e non si tratta di punire
nessuno».
«E di cosa si tratta?»,
chiese Dario senza troppo entusiasmo.
«Stiamo allacciando dei
contatti importanti in Sardegna. Dovresti recarti lì, come nostro
rappresentante. Te la senti?»
Dario pensò che quella
sarebbe stata l’occasione per defilarsi. Se ne sarebbe andato da Fabrizio o dai
parenti di sua madre e lì avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Magari si
sarebbe costruito un’altra vita. Adesso, era importante allontanarsi per
pensare e mandare giù questo rospo terribile che gli si agitava in gola.
«Va bene, accetto».
«Benissimo. Sono
contento. Animo, dunque. Stiamo crescendo e cresceremo ancora, anche in
Sardegna. A tempo debito ti fornirò i nomi dei nostri referenti a Nuoro».
«D’accordo, quando devo
partire?»
«Magari in estate, con
comodo. Poi ne riparliamo».
La pausa pranzo era
finita per entrambi e tornarono così alle loro incombenze. Dario con i suoi
crucci interiori, Vittorio con le sue trame di potere, dentro le loro anonime
tute blu.
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