giovedì 17 ottobre 2024

Un neo brigatista in Sardegna

 

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Capitolo Quarto

 

Con il tempo Dario, era riuscito a farsi una ragione della morte di quel sindacalista che era caduto nel corso della prima e unica azione terroristica alla quale lui aveva preso parte. Nel corso di numerose riunioni segrete, alle quali aveva successivamente partecipato, si era parlato molto del prezzo di sangue che si sarebbe dovuto pagare sulla via della rivoluzione vittoriosa. Numerose letture avevano poi contribuito a rafforzare le sue convinzioni. Concluse che ormai si trattava di una guerra e senza morti era impossibile da immaginare. D’altronde anche molti dei loro compagni erano caduti sotto il fuoco nemico dei carabinieri e dei poliziotti ed era legittimo rispondere con il fuoco. Il torto era facile da intravedere nello sfruttamento secolare, per non dire millenario, degli operai e dei braccianti, schiavizzati con la schiena piegata sulla terra da coltivare o legati alla catena di montaggio. Mentre i ricchi, i borghesi, i padroni se la spassavano tra belle donne e macchine di lusso, con gli yatch ormeggiati al porto sempre a loro disposizione. Chi lo aveva decretato che lui dovesse appartenere per sempre alla classe degli schiavi? Non aveva forse ragione il povero ad alzare la voce e a ribellarsi? E i ricchi avrebbero ceduto le loro proprietà, il loro potere con le buone maniere, ragionando da buoni fratelli? Col cavolo! Lenin, Mao e Fidel Castro avevano imbracciato le armi ed erano riusciti a riportare l’uguaglianza e la libertà ai diseredati e agli sfruttati di sempre.

 I libri di storia, dopo la vittoria della rivoluzione, gli avrebbero reso quello che adesso i giornali e le televisioni dei padroni gli stavano togliendo in termini di credibilità e ragione.

 Quando a metà giugno partì per la Sardegna, senza dire niente a nessuno, decise che prima di andare a Nuoro per quei contatti con i combattenti sardi per la libertà e l’indipendenza, si sarebbe recato a trovare i parenti di sua madre e forse perfino da Fabrizio.

I parenti di sua madre, a Sassari, lo accolsero davvero con affettuoso calore. In aggiunta al senso di ospitalità, tipico dei Sardi, vi era quel legame di sangue, che li univa, ad amplificare quell’afflato empatico. Angelo, uno dei suoi cugini, che aveva più o meno la sua età, aveva un bel giro di amicizie e anche lì fu accolto con estrema simpatia.

Tuttavia, quando si accorse che una delle sue amiche, con cui aveva più che familiarizzato, si stava troppo affezionando a lui, decise ch’era giunto il momento di staccarsi. Si guardò bene dal comunicare i suoi riferimenti nuoresi e inventò di avere un impegno importante con il suo amico d’infanzia Fabrizio, nelle campagne di Tempio, dove diede appuntamento a tutti quanti, per ritrovarsi e rafforzare i loro vincoli, di qualunque natura essi fossero. All’Agnata ci andò davvero con l’idea di salutare il suo amico Fabrizio e ripartire poi per Nuoro, dove avrebbe preso finalmente i contatti, come da incarico ricevuto.

Da Tempio non fu semplice trovare un passaggio per l’azienda agricola di Fabrizio ma alla fine, a forza di chiedere, trovò un passaggio su un camion che andava lì per prendere il latte delle mucche e portarlo in città. L’estate era già avanzata nella campagna tempiese. Mentre l’autista guidava attento su quelle tortuose stradine, lui respirava a pieni polmoni quei profumi inebrianti della macchia mediterranea. Si sentiva emozionato dall’idea di ritrovare il suo vecchio amico e di vedere come si fosse sistemato nella terra di sua madre. Certo era strano quel suo compagno d’infanzia. Lo era sempre stato, anche se lui aveva sempre attribuito le stranezze del suo carattere, come una bizzarria dovuta alla sua nascita tra i privilegiati e alle eccessive attenzioni che aveva ricevuto in famiglia, soprattutto dalla mamma, sempre pronta ad accontentare quel suo figlio ribelle e capriccioso. Non gli era mai venuto in mente che invece, quelle originalità, fossero frutto della natura artistica di un animo attento e sensibile alla natura. Un ascolto perenne alla vita e ai suoi dettati. Nell’animo di Dario non c’era posto per simili sentimenti. Lui, ormai, misurava tutto con un metro materiale.

Fabrizio fu sinceramente felice di vederlo e di ospitarlo. Quanto a trascorrere insieme del tempo, era un’altra questione. A parte qualche partita a carte, la sera, dopo avere inizialmente ricordato ancora una volta i vecchi tempi trascorsi nei caruggi della città vecchia, non ci furono troppe occasioni. Il suo amico aveva delle abitudini originali, riguardo al tempo. Dormiva di giorno e per lo più lavorava di notte in compagnia della sua chitarra. Le sue note e i suoi versi riempivano il silenzio notturno. Una volta anche Dario si sentì immerso in una nuvola di malinconia, proprio mentre il suo amico cantava ‘Giugno 73’ una canzone che, per sua stessa ammissione, era una delle poche autobiografiche. Fu durante il verso finale “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati” che si ritrovò a ripensare alla sua ragazza finalmente così felice di avere l’apparecchio acustico che aveva risolto il suo problema uditivo che l’affliggeva dalla nascita. Cosa stava facendo ora Bice? Lo amava ancora? Mentre si rigirava nel suo letto si chiedeva se avesse fatto bene a spezzare quel legame tenero e sincero che per un certo periodo era riuscito, almeno in parte, a colmare i vuoti della sua esistenza. Per fortuna il sonno prese subito sopravvento. Non c’era spazio nei suoi pensieri e nel suo animo per simili nostalgie.

Infatti il giorno seguente Bice era già fuori dalla sua testa. Ma Dario non se ne preoccupò affatto.

 La tenuta era così grande che vi si poteva camminare per ore senza trovare anima viva. Un giorno che aveva fatto un lungo giro, dopo aver vagato a lungo tra rupi, boschi e anfratti, mentre si trovava sulla via del rientro, si imbatté casualmente nell’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere. All’inizio non lo riconobbe, sdraiato com’era in mezzo all’erba, pancia a terra, con i binocoli puntati in direzione della residenza De André. Ne distinse il volto come quello si girò di scatto, forse spaventato dal fruscio dei suoi passi.

«Belin, Vittorio, che diavolo stai facendo qui? E cosa fai con quei binocoli?» gli chiese ridendo di gusto.

«Ma che domande del cazzo mi fai? Cosa ci fai tu, qui? Non dovevi essere a Nuoro, boja d’un fàuss! Ho pensato che ti avessero arrestato o che fossi morto da qualche parte» sbottò in tono minaccioso l’altro, per tutta risposta.

A Dario, la risata di prima passò di colpo. Quello lì era incazzato sul serio. Tanto più che dal folto della macchia era apparso all’improvviso un altro uomo. Non era giovane quanto lui e neanche quanto Vittorio. Fu colpito da due cose. Dal suo fisico imponente e dal fatto che vestiva alla sarda, con giacca di velluto e pantaloni di fustagno e con i gambali e la berrita in testa, a completare l’abbigliamento tipico dei pastori, come gli avevano ampiamente descritto i suoi cugini di Sassari.

L’uomo, lisciandosi con fare circospetto i baffi neri e spioventi, appena spruzzati di grigio, lo guardò negli occhi e non parlò neppure per dire il suo nome. Dario notò come se ne stesse tutto il tempo al coperto del macchione boscoso, guardandosi in continuazione tutt’attorno. I suoi occhi chiari gli sembrarono quelli di un gatto o forse di una volpe.

«Belìn, non ti avevo detto che avevo dei parenti e degli amici da salutare?» farfugliò, sorpreso dalla furia aggressiva del suo interlocutore.

«Ma che cazzo vai vaneggiando? Non avevi l’incarico di stringere dei contatti con i compagni sardi, giù a Nuoro? E invece ti ritrovo qui a fare un belin, come dici tu!»

«E tu, che stai con i binocoli allora?» tentò di reagire Dario che si era sentito trattato come una merda. Ma quello rincarò ancora la dose di rabbia.

«Ma allora tu non capisci davvero un cazzo! Ma sei un combattente o sei un pirlètta che continua a fare domande inutili?»

Dario questa volta abbassò la testa, sentendosi di colpo ridicolo.

«Sì, scusa, hai ragione tu. Ho sbagliato.»

«Se tu fossi andato dove ti avevo mandato, sapresti benissimo per quale motivo mi hai trovato qui, con questi binocoli. Non penserai che sia venuto a gustarmi il paesaggio?»

Poi, visto che l’altro non parlava e stava lì a capo chino, mortificato, cercò di addolcire un poco il tono della voce. «Ce li hai sempre quegli indirizzi di Nuoro?»

«Sì, certo», disse Dario, contento di potere dare una risposta soddisfacente.

«Ecco, falli a pezzetti e buttali via. Li abbiamo dovuti cambiare, per paura che ti avessero preso con quegli indirizzi in tasca. Adesso ti do un nuovo recapito e contattalo subito a nome mio» disse in tono sbrigativo Vittorio, scrivendo qualcosa su un pezzo di carta, dopo avere passato i binocoli al suo silenzioso accompagnatore.

«Mi dici adesso che cosa sei venuto a fare e perché ti trovi qui?» chiese ancora consegnandogli il pezzo di carta con il nuovo numero di telefono.

«Non ti avevo mai detto che con Fabrizio De André siamo amici d’infanzia?», disse con un filo di voce Dario.

«Ah!» fece l’altro sorpreso. «No, non me lo avevi detto e non lo sapevo. È superfluo che io ti dica che la segretezza della nostra missione in Sardegna va oltre ogni amicizia.»

«Ma certo, stai tranquillo. Ci mancherebbe» rispose offeso. Tuttavia pensò che significato avesse la sua presenza nella tenuta del suo amico, con quei binocoli e con quel pastore silenzioso.

«E speriamo che questo non complichi, a te e a noi, i nostri programmi futuri» disse in tono enigmatico.

Dario si sentì addosso gli occhi dei due uomini e si chiese ancora il senso di quelle parole. Tuttavia non disse niente.

«Ciao. Ci vediamo a Nuoro. E non perderti per strada, anche stavolta!» aggiunse mentre si accingeva a seguire l’altro uomo, che, dopo aver dato un ultimo sguardo intorno, lo aveva osservato un’ultima volta. I suoi occhi parlarono per lui, anche se Dario non seppe come interpretare quello sguardo indagatore e profondo.

Restò lì per qualche secondo chiedendosi che senso avessero quelle parole riferite ai programmi futuri. Poi si avviò pensieroso verso la tenuta, nella direzione opposta a quella che avevano preso gli altri due uomini. Presto sarebbe partito per Nuoro. Ma non lo avrebbe detto a nessuno.

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