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Capitolo
4
In
viaggio per Londra, in quel luglio del 1977, mi accompagnavo casualmente a una
mia ex compagna della ragioneria, che mi piaceva sin dai tempi della scuola,
anche se non le avevo mai dichiarato i miei sentimenti, sempre frenato dalla
mia timidezza e dalle mie interiori paure. La ragazza era comunque fidanzata e
presto l’avrebbe raggiunta a Londra il suo ragazzo per riportarsela a Cagliari
e convolare così insieme a giuste nozze.
A
essere sincero ero partito con l’idea di trovarmi un lavoro per l’estate, di
farmi qualche soldo e poi di ritornarmene a casa e di concludere gli studi
universitari; in fondo mi mancavano soltanto cinque o sei esami per arrivare
alla laurea.
Londra
mi piacque subito. Mi piacquero le grandi vie e i grandi parchi dell’West End e
mi piacquero i vicoli più intimi e contenuti di Soho; complessivamente sentii
che in quella città ci stavo bene; diciamo che il suo fascino misterioso, che
sembrava aleggiare, soprattutto la sera, sui caseggiati di pietra e in quegli
edifici che trasudavano storie, mi avvinse in una spirale di emozionanti
sensazioni, come se avessi già vissuto, in un remoto passato, tra quelle mura e
in quei luoghi. Niente di definito o di certo, sia chiaro, ma soltanto delle
sensazioni; nulla di più. Forse avvertivo, in quel momento di estrema
solitudine, che Londra era una città sola e solitaria, come me; e le nostre
solitudini si fusero e io trovai lì rifugio e consolazione, in quella metropoli
che ancora costituiva, come era stato per secoli, rifugio per anime inquiete e pellegrine,
ma anche per perseguitati in cerca di protezione e libertà.
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