https://www.edizioniefesto.it/collane/origo-gentis/437-la-terza-via-un-uomo-un-viaggio-tre-strade.
E
infine, in aggiunta ai grandi temi
generazionali, con cui ogni uomo deve fare i propri conti; al di là dei grandi
movimenti cosmici, che in qualche
modo influenzano la storia dei popoli,
ogni singolo uomo fronteggia e si confronta con se stesso, con la sua storia
personale, con il suo carattere.
Io
ero un carattere introverso e la mia era una storia di solitudine. E poco
importano qui i motivi di questa solitudine. E forse ha ragione chi sostiene
che ognuno ha il suo destino, già tracciato,
da qualche parte.
Per
tanto tempo ho pensato e ragionato in termini fatalistici: se deve accadere,
accadrà; lasciamo che il tempo faccia il suo corso; così vuole il destino e
così via.
Oggi
non so davvero se continuare a crederci. Forse è più giusto dire che il destino
ce lo facciamo da noi.
Io ero incapace di allacciare relazioni
sentimentali di carattere superficiale e avevo paura di arrecare ingiuste sofferenze,
instaurando rapporti di cui non ero
convinto e sicuro; o magari ero io, inconsciamente, ad aver paura di soffrire. Il mio carattere
introverso mi impediva di aprirmi agli altri e probabilmente anche qui c’era
una paura interiore a rivelare i miei più intimi sentimenti. Il mio fatalismo
faceva il resto. E così lasciavo trascorrere il tempo sotto i ponti della mia
vita.
Rimuginavo
inoltre sui più profondi e reconditi significati della nostra esistenza sulla
terra e anche su quel terreno, non
trovavo con chi confrontarmi e mi sentivo emarginato. Non riuscivo proprio a
vedere il lato ludico e gioioso della vita e quando entravo in contatto con
quel mondo, mi sentivo un perfetto
estraneo.
Un
episodio, a tal proposito mi torna alla mente, a distanza di oltre
quarant’anni: un mio amico, uno di quei dritti, mezzo dongiovanni e mezzo
bulli, che andavano forte in quegli anni
settanta, dotati di quel carisma, con accessori di faccia tosta e auto sportiva
di grido, che sa conquistare uomini e,
soprattutto, donne, insistette per presentarmi alcune sue amichette, molto
disponibili (a suo dire) a facili avventure e a simpatie fiammeggianti. Me le
fece conoscere. Ne uscì fuori una serata simpatica, un primo, incoraggiante
approccio, lo giudicai allora. Dopo poco tempo il mio amico Beppe mi riferì che
ero piaciuto alle ragazze. Una di loro
in particolare aveva osservato che avevo un bel viso da bravo ragazzo. Invece
di sentirmi orgoglioso di una simile considerazione, la interpretai in maniera
conforme allo stato d’animo che albergava nel mio animo in quegli anni
difficili e lontani. E mi convinsi ancora di più, memore di quello che era
toccato al mio compianto fratello
maggiore, e delle lezioni che lui mi
aveva impartito durante le ore trascorse nella sua bottega di
orologiaio e nel suo negozio di gioielleria, che le donne preferivano i cattivi
ragazzi ai bravi ragazzi di buona famiglia.
Che
stupido tempo è la nostra gioventù! Invece di gioire di quel gran complimento,
me ne feci un cruccio! Se per avere delle donne con facilità, occorreva essere
brutti e cattivi, ebbene, ero pronto a trasformarmi! Avrei dismesso la mia aria
da bravo ragazzo e sarei diventato un duro! O qualcosa del genere.
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