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Capitolo Secondo
«Le
ho gabbate una volta, quelle sottane» – si vantava Pietro Marino con gli amici
della Nuova Accademia, riferendosi ai religiosi della Congregazione pontificia
che lo avevano processato negli anni novanta del secolo precedente – «e le
gabberò novellamente anche ‘stavolta!»
«Quante ne abbiam fatte con gli Incerti, eh Pietro?»,
interpose Girolamo Aleardi.
«E
soprattutto quante ne faremo ancora!», rispose Pietro Marino sollevando il
calice stracolmo di vino.
«Giusto»,
interloquì Ciro di Pers, facendo tintinnare il suo calice con quello dei suoi
sodali. «Brindiamo al nuovo che avanza!»
«Brindo
ai dolci e femminili visi, che degli Incerti i cuori affranti, ieri allietarono
conquisi, e cogli Increduli in avanti, a scapito di Ludovisi, conquisteremo
ancor festanti!», improvvisò Gabriello Chiabrera, levando a sua volta il
calice.
Un
coro di evviva, di prosit, ad maiora, e altri auspici che
inneggiavano alle nobili frontiere delle nuove conoscenze ma anche alle crapule
più prosaiche e volgari, si levarono in risposta ai versi improvvisati dal
poeta; e altri ne seguirono quella notte, come altre notti a seguire.
Pietro
Marino De Regis, chiamato “Il Carminate”, era uno dei 144 membri, tra poeti,
musicisti, pittori e artigiani, che avevano contribuito nel dicembre
dell’anno del Signore 1623 a fondare la
Nuova Accademia degli Increduli di Ferrara.
Si
trattava in realtà di una rifondazione della precedente Accademia degli
Incerti, sorta sempre a Ferrara molti anni prima e sciolta nel 1597 dalla
Congregazione dell’Indice Paolino, per avere osato tradurre la Bibbia in
volgare.
Egli
era uno dei pochi sopravvissuti che poteva fregiarsi di essere appartenuto alla
precedente fondazione accademica ferrarese.
Lo
stesso Pietro Marino, all’epoca già
provetto orologiaio, nonché promettente
e giovane poeta, era scampato però alla
condanna personale, in virtù di uno
stratagemma di natura legale: gli avvocati degli imputati erano riusciti
infatti a dimostrare che la Bibbia in volgare era stata composta dal 5 al 14
ottobre 1582, un periodo temporale che il papa
Gregorio XIII, decidendo di riformare il calendario giuliano, aveva
dovuto abolire per decreto, onde correggere le imprecisioni del precedente
calcolo giuliano, recuperando il tempo in esso perduto. In quanto “vacuum ac
nullus”, avevano chiosato gli abili difensori degli imputati accademici
(avvocati direttamente nominati dal duca d’Este, che con quella mossa aveva
inteso difendere, ad un tempo, un componente del suo casato, affiliato
all’Accademia ed il suo stesso Ducato, da sempre nelle mire espansionistiche
dello Stato Pontificio), in quel periodo non poteva essere validamente ascritto
alcun crimine a chicchessia, in quanto “quod nullum est, nullum producit
effectum”.
E
non si sa se furono i brocardi di giustinianea memoria, profusamente decantati
dai quei provetti principi dello Studium Juris Estense, capitanati
da Renato Cato ovvero l’influenza del loro potente patrono, ovvero ancora il
timore del cardinale Aldobrandini di
guastare i già difficili rapporti con la
Francia (Alfonso II d’Este era nipote del re francese Enrico II per parte di madre ed era di casa
presso la sua corte), fatto sta che il Tribunale della Congregazione dovette
assolvere tutti gli autori imputati.
Certo
è che le Note Difensive redatte dallo Studium Estense furono intelligentemente fatte circolare, seppure in
copia informale e per conoscenza, nelle più importanti corti europee, ciò che
mise in seria difficoltà la cerchia aldobrandina, sempre attenta a non turbare
troppo gli equilibri diplomatici.
La
Congregazione sfogò però tutta la sua rabbia potente contro l’Accademia,
ordinandone lo scioglimento e contro l’editore Manuzio di Venezia, acerrima
nemica dello Stato Pontificio, che aveva
pubblicato la traduzione vietata in mille
esemplari andati a ruba, e che comunque aveva pensato bene di rimanere contumace nel processo. E il duca
Alfonso II, ormai al tramonto della sua vita, stanco e senza figli, sullo
scioglimento dell’Accademia chiuse tutti e due gli occhi perché comunque
l’assoluzione degli imputati, tra cui quella del suo nipote affiliato che tanto
gli era caro, fu considerata negli ambienti politici e diplomatici dell’epoca,
una sua vittoria personale.
Ne
era passata di acqua sotto i ponti da quel tempo! Estintasi la linea diretta
della casata degli Estensi (Alfonso, nonostante i suoi due matrimoni, era morto senza eredi legittimi diretti) lo Stato Pontificio era riuscito finalmente
ad inglobare i territori ferraresi del ducato sotto la sua sovranità, ed al
posto dei duchi d’Este ora regnava a Ferrara un Legato Pontificio. E quegli
accademici, rimasti orfani dei grandi mecenati estensi, seppure sfrattati da
villa Marfisa, avevano continuato ad unirsi in segreto, aggregando giovani
talenti, per niente impauriti dai nuovi sovrani tonacati.
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