4.30.2022

Le indagini del commissario De Candia-7

 

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«C’è un’altra cosa che dobbiamo considerare, prima di escludere ovvero prendere in considerazione l’eventualità della presenza di un complice» si affrettò a dire il commissario per scongiurare le proteste del sovrintendente, che sbuffava regolarmente a ogni frase in latino del loro collega. «Secondo il medico che ha effettuato l’autopsia l’assassino ha sferrato tre colpi, dal basso verso l’alto. E i fendenti sono stati inferti da un destrimane, mentre l’indiziato, come precisa il verbale, impugnava il coltello nella sinistra e, per giunta, è anche mancino.»

«Beh, questo non esclude la presenza di un complice. Anzi, sembrerebbe confermarlo…» disse ancora l’ispettore, ma meno convinto di prima.

«Certamente. Ma a questo punto, perché non pensare che il vero assassino abbia agito indipendentemente dall’indiziato? Comunque domani, senza trascurare neppure questa pista, voglio verificare da dove possa essere entrata questa terza persona, la cui presenza sembra farsi strada sempre più a rigor di logica. Anche alla luce del fatto che l’indagato ha dichiarato di essere entrato con le chiavi. Quindi, o il vero assassino si è infilato dall’esterno, oppure la porta gli è stata aperta dalla stessa vittima.»

«In effetti ci sono diversi punti oscuri. La vittima conosceva l’assassino? Io propenderei per il sì. Chi si fiderebbe oggi ad aprire a uno sconosciuto?» puntualizzò l’ispettore.

«Purtroppo sappiamo per esperienza che molti anziani lo fanno. Per leggerezza o perché vengono ingannati. Ovviamente, dopo il sopralluogo, saremo in grado di valutare meglio le diverse ipotesi.»

«Vuole che veniamo con lei, commissario?» si offrì il sovrintendente.

«No, grazie, state con le vostre famiglie. Domani è sabato. Se avrò dei dubbi in proposito ci faremo un salto insieme la settimana prossima» disse il commissario con un tono da cui traspariva il suo apprezzamento per l’offerta generosa.

«E le altre due piste quali sono?» chiese l’ispettore Zuddas, contento che le sue osservazioni, apparentemente assurde e fuori luogo, avessero invece colpito l’immaginazione di un investigatore del calibro del commissario.

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4.29.2022

Le indagini del commissario De Candia-6

 

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Capitolo Terzo

 

Anche quel venerdì il team della Squadra Omicidi si ritrovò nell’Ufficio del coordinatore, il commissario Santiago De Candia. Il gruppo ristretto era composto dallo stesso commissario, dall’ispettore Angelo Zuddas e dal sovrintendente Alessio Farci.

I tre dovevano fare il punto della situazione su tutti i casi di omicidio che avevano in carico.

Il commissario lasciò per ultimo il caso dell’omicidio di via Giudicessa Adelasia, come lo avevano ribattezzato anche i giornali, dopo la scarcerazione del presunto colpevole.

«Come vi ho già accennato nel corso della settimana, ho provveduto a ritirare il fascicolo in procura. Studiandolo, nei giorni scorsi, vi ho intravvisto due piste, ma naturalmente restiamo aperti a recepirne eventualmente altre qualora dovessero emergere nel corso delle indagini. In via preliminare, se siete d’accordo, lascerei cadere la pista seguita dalla Procura nell’immediatezza del fatto. Mi riferisco alla pista dell’assassino con il coltello in mano.»

Il commissario fece una pausa per dar modo ai suoi collaboratori di intervenire.

«Ci mancherebbe altro che ci facessimo trascinare nelle regioni paludose dove si sono impantanati quelli là!» disse il sovrintendente Farci con un cenno di stizza rivolto verso il Palazzo, al di là della finestra.

«Ma lo hanno davvero scagionato l’assassino con il coltello in mano?» si interpose l’ispettore Zuddas.

«Sì, certo. È spiegato tutto nel ricorso dell’avvocato difensore e nell’ordinanza di accoglimento del tribunale della libertà!» rispose il Santiago De Candia con enfasi, porgendo i due documenti al sottoposto, dopo averli estratti dal fascicolo.

«Ci mancherebbe commissario! Riassuma lei per noi, se vuole!» si schermì l’ispettore.

«In pratica l’avvocato difensore dell’indiziato è riuscito a dimostrare che quando è partita la telefonata della vicina di casa al 112, il suo cliente non poteva essere sul luogo del delitto!»

«E come ha fatto?» chiese il sovrintendente Farci incuriosito.

«Mettendo a confronto i tabulati telefonici e i documenti di viaggio, ha messo in evidenza come il suo cliente abbia obliterato il trasbordo,  dal bus n. 1 a quello della linea M, esattamente dieci minuti prima che partisse la telefonata che ha allertato la Polizia Giudiziaria in servizio.

I piani di viaggio hanno mostrato che da piazza Gramsci, luogo del trasbordo dell’indiziato, alla fermata di via Baccaredda più vicina alla casa della vittima, ci vogliono almeno dieci minuti, senza considerare il probabile traffico e le fermate intermedie, altrimenti i minuti diventano quindici. Poi si deve percorrere a piedi il tratto di strada che dalla fermata del pullman porta alla casa di via Giudicessa Adelasia.»

«Accidenti, l’alibi dell’indiziato si gioca comunque sul filo dei minuti!» esclamò il sovrintendente Farci.

«Ma chi lo dice che il momento della chiamata di intervento della vicina coincida esattamente con la morte della vittima? Non potrebbe essere che la signora abbia urlato ben prima di essere uccisa e la colluttazione si sia protratta per diversi minuti?» suggerì l’ispettore Zuddas, che per carattere tendeva sempre a fare l’avvocato del diavolo.

«D’accordo, ma questa colluttazione con chi sarebbe avvenuta? Non con l’indiziato, che non avrebbe comunque potuto trovarsi, a quell’ora,  a casa della vittima. A meno che tu non voglia ipotizzare che  avesse un complice che ha lottato con la vittima sino all’arrivo sul luogo del delitto dell’indiziato!» rispose il commissario, il cui scrupolo investigativo sapeva spingersi oltre ogni limite.

«Ma di questo fantomatico complice non c’è traccia nei verbali, giusto commissario?» intervenne il Farci che era il più concreto dei tre componenti dell’affiatato team della sezione omicidi.

«Certo che no!» confermò Santiago De Candia. «Nel fascicolo ci sono le chiavi dell’appartamento dove è avvenuto l’omicidio. Avevo già in mente di farci un sopralluogo domattina. Mi riprometto di verificare tutto, senza tralasciare niente.»

«Ma la storia del coltello in mano è stata un’invenzione dei giornali?» chiese ancora con curiosità il Farci.

«Io credo che sia stata una sfortunata coincidenza, come scrive l’avvocato difensore nel ricorso. In pratica l’arrivo della pattuglia della polizia giudiziaria è stata quasi contemporanea all’arrivo del nipote, il quale entrando con le sue chiavi ha trovato il coltello insanguinato per terra. Ingenuamente lo ha raccolto e si è messo a cercare la zia, trovandola poi in cucina, praticamente già morta. E così l’hanno trovato i Carabinieri, inebetito e tremante. In una mano stringeva ancora il coltello, mentre nell’altra aveva una busta con dei generi alimentari che gli aveva chiesto la zia il giorno prima» rispose il commissario.

«Decipit frons prima multos!» sentenziò l’ispettore riacquistando la sua consueta sicurezza e quasi pentendosi della sua ipotesi dell’esistenza di un complice.

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4.26.2022

Le indagini del commissario Santiago De Candia-4

 

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Gli avventori del bar di Tonio sembravano scatenati.

«Com’era possibile? »

«Ma dove arriveremo, se si liberavano perfino gli assassini colti in flagranza di reato? »

«Possibile che la giustizia abbia reso le armi di fronte alla delinquenza? »

«L’Italia è ormai un paese senza speranza.»

Il commissario uscì dal bar con un senso di liberazione. Un altro po’ e ci sarebbe stata, ne era certo,  l’immancabile invocazione all’Uomo Forte. Il Risolutore, un uomo soltanto al comando, capace di raddrizzare le storture di una democrazia fasulla e, magari, di fare arrivare i treni in orario!

Ma la vera sorpresa arrivò a mezzogiorno, quando l’ispettore Zuddas e il sovrintendente Farci, i due più stretti collaboratori di Santiago De Candia nella squadra omicidi della questura di Cagliari,  fecero capolino nel suo ufficio con un fax della procura!

«Appena giunto via fax dalla procura generale, commissario!» disse trafelato l’ispettore Zuddas, allungando un foglio di carta lucida.

«Che cos’è?» chiese il commissario prendendo il foglio ma guardando i suoi collaboratori in segno di saluto.

«È una convocazione per il conferimento della delega alle indagini per l’omicidio di via Giudicessa Adelasia!»

«O dell’assassino con il coltello in mano che dir si voglia!» intervenne il sovrintendente Farci in tono polemico.

«Caspita! Niente di meno!» esclamò Santiago De Candia, che tutto s’aspettava quella mattina, meno che l’arrivo di quella convocazione.

«Come al solito, dopo la gloria farlocca e i pasticci grandiosi, a chi spetta rimediare?» insisté il sovrintendente Farci, che ce l’aveva sempre con i colleghi della giudiziaria che lui chiamava di- spregiativamente gli scalda sedie del Palazzo.

«Beh, consolati pensando che evidentemente, lassù in procura, ci devono apprezzare parecchio!» disse sornione il commissario, che conosceva il carattere pessimista del suo valido collaboratore.

«Vabbè, se vogliamo dire per forza che il bicchiere è mezzo pieno…» concesse con scarsa convinzione il sovrintendente, che apprezzava tanto il suo superiore, quanto denigrava quelli del Palazzo. Tanto più se appartenenti ai rivali Carabinieri.

«Ad poenitendum properat, cito qui iudicat!» sentenziò pronto l’ispettore Zuddas, che aveva un vasto repertorio di massime latine, retaggio dei suoi studi classici, precocemente interrotti.

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Le indagini del commissario Santiago De Candia-3

 

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Capitolo Secondo

 

Il lunedì successivo era festa nazionale, ma sui giornali la vicenda dell’assassinio con il coltello in mano aveva continuato a spiccare tra i titoli in evidenza. Continuava a suscitare clamore e interesse una vicenda che aveva visto soccombere una signora anziana per mano di un suo giovane nipote. Tra i lettori dell’Opinione, soprattutto, si contavano numerose le persone anziane assistite da parenti più giovani oppure da personale esterno. A tenere viva la notizia era stata l’emittente Selen TV, che faceva da traino alla versione cartacea del quotidiano, con numerosi e frequenti dibattiti televisivi, ai quali venivano invitati cittadini comuni ed esperti di varia provenienza.

Anche il secondo lunedì del mese il fattaccio del coltello insanguinato teneva banco. Il commissario De Candia trovò il bar di Tonio ancora in grande subbuglio.

«Ha visto dottore le ultime sul caso dell’assassino con il coltello in mano?» gli disse Tonio accennando al giornale che aveva appena aperto, mentre gli portava la colazione, calda e fumante.

Il commissario andò a leggere le pagine interne della cronaca e a momenti gli andava di traverso il boccone di croissant che aveva appena addentato.

Una foto dell’avvocato Levi capeggiava a centro pagina.

La notizia eclatante era che l’assassino con il coltello in mano era stato scarcerato dal Tribunale della Libertà del capoluogo, su ricorso dell’avv. Luisa Levi.

La donna era una vecchia conoscenza del commissario, vedovo da tempo, che l’aveva incrociata all’inizio per motivi professionali, in occasione di altre indagini per casi di omicidio.

Le loro opposte posizioni investigative, lui dalla parte del delegato per le indagini della procura, lei come avvocato difensore dell’indagato, non avevano impedito la nascita di  una reciproca stima, dalla quale era poi scaturita una discreta relazione alla quale nessuno dei due aveva voluto attribuire un nome, ma che sembrava incardinarsi in qualcosa di più di una sequela, apparentemente occasionale ed episodica, di incontri connotati da una forte e reciproca passionalità.

Poi quel flusso empatico si era bruscamente interrotto. Senza una ragione apparente, gli era sembrato che lei non volesse più farsi trovare. O forse era stato lui che non l’aveva cercata abbastanza.

Qualcosa era però rimasto in sospeso, inespresso, involuto, almeno nell’animo del commissario. Quel qualcosa che, assopito e sotto traccia, si era risvegliato all’improvviso, di fronte a quella fotografia sul giornale.

Quella donna era davvero un diavolo in gonnella, pensò il commissario.

Come aveva fatto ad ottenere la scarcerazione dell’assassino con il coltello insanguinato in mano?

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4.18.2022

Un'indagine al di là di ogni evidente apparenza-53

 

«Ti ricordi anni fa quegli episodi di avvelenamento dell’acqua minerale nei supermarket?»

«Sì, vai avanti!» la incoraggiò il commissario.

«Mi pare di ricordare che fra le sostanze utilizzate per avvelenare le bottiglie d’acqua minerale ci fosse proprio il fluoracetato di sodio… ti ricordi che il cadavere della signora Emma è stato trovato in cucina?»

«Sì, certo. Ci siamo chiesti a lungo perché l’assassino fosse stato sorpreso in cucina e, soprattutto cosa ci facesse in quell’ambiente! Di solito i ladri non rovistano in cucina…»

«Mi son ricordato che Alessandro, il mio assistito, mi ha raccontato che lui riforniva la zia dei generi alimentari e, a titolo di esempio, mi elencava pasta, riso, pomodori pelati, acqua minerale…E se il nostro uomo fosse andato in cucina per avvelenare una delle bottiglie di acqua minerale della zia?»

«Ma certo! Dev’essere così!» esclamò con ammirazione il commissario. «Lui dopo essere entrato dal lucernaio della mansarda è andato in cucina e forse contava, dopo aver avvelenato l’acqua, di trovare il testamento e distruggerlo…»

«Forse non sapeva che il testamento fosse custodito nella cassaforte…»

«O magari sperava di trovare la chiave insieme alle altre appese nell’ingresso…»

«Magari…!» convenne l’avvocato pensierosa «Del resto, come diceva il mio vecchio maestro, l’avvocato Serra-Laconi, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi…e a ben guardare, c’è sempre un errore o un punto debole, in ogni disegno criminoso…»

«Quella donna era un pozzo di scienza giuridica!» pensò ancora con ammirazione il commissario.

«E sai cosa mi viene in mente adesso?!» aggiunse di seguito Luisa.

Il commissario la guardò, aggiungendo la sorpresa a quella sua ammirazione di prima.

«Che il nostro Andrea Picciau, se le cose sono andate davvero così, dovrà rispondere di omicidio volontario e non più di omicidio preterintenzionale o di quella figura tipica dell’omicidio d’impeto, assimilato a quello preterintenzionale!»

«Non vorrei essere nei suoi panni. Anche se è un assassino, in fondo, mi fa pena. Tutti i criminali, anche quelli che lo fanno per professione, mi fanno pena. Ma questi tossicodipendenti, mi fanno pena più degli altri.»

Luisa sembrò rabbuiarsi in viso. Gli rivolse uno sguardo indefinibile; aveva gli occhi lucidi; il commissario pensò che fosse turbata per le sue parole.

«Spero di non aver detto qualcosa di sbagliato…» mormorò in tono mesto.

«No, no! Anzi, le parole che hai detto sui tossicodipendenti sono bellissime e ti fanno onore…»

L’avvocato si interruppe di colpo, come se i suoi pensieri le impedissero di continuare. Dopo una lunga pausa gli chiese di colpo:

«Ti ho mai detto che avevo un fratello tossicodipendente?»

«Veramente non sapevo neppure che avessi un fratello…» riuscì a dire il commissario stupefatto.

«Non ne parlo mai con nessuno…è come una ferita aperta…eravamo gemelli…bizigoti ma comunque gemelli …e molto attaccati, come tutti i gemelli. Se l’è portato via l’HIV, poco più che ventenne, nei primi  anni novanta…perché Santiago, dimmi perché un giovane deve autodistruggersi con la droga?»

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4.16.2022

Un'indagine al di là di ogni evidente apparenza-51

 


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Capitolo Quindicesimo 

Santiago De Candia si preparò per ospitare a cena la sua amica Luisa. E come ogni sabato mattina, si recò per gli acquisti al mercato di San Benedetto. Per cambiare decise di optare per le melanzane ripiene di pasta. Il sabato precedente aveva cucinato la pasta coi fagiolini che lui conosceva nella doppia versione.  Quella sarda, spaghetti cotti nell’acqua salata dei fagiolini lessi, olio extra vergine, due spicchi d’aglio e pecorino grattugiato e quella pugliese, che prevedeva invece la preparazione di un sugo di pomodoro dove i fagiolini, dopo cinque minuti di lessatura, andavano a finire di cuocere per altri quindici minuti, prima di diventare il giusto condimento di una pasta corta, a scelta.

Anche le melanzane ripiene costituivano un altro tipico piatto della sua famiglia, che aveva visti divisi i suoi genitori.  Nella versione sarda, sua madre riempiva le melanzane, tagliate a metà in verticale e svuotate della polpa interna, con un ripieno fatto di carne macinata di bovino, uova, pangrattato, aglio, sale e la polpa delle stesse melanzane, macinata a dovere. Nella versione pugliese, prediletta e proposta da suo padre, in alternativa, i gusci delle melanzane, dopo essere svuotati della polpa interna, andavano scottati in acqua bollente per cinque minuti.  Poi occorreva tagliare a cubetti la polpa delle melanzane ed aggiungerla al sugo di pomodoro, portandolo a cottura dopo averlo salato a dovere.  A parte andava poi cotta la pasta corta, tipo i sedanini o i tortiglioni. Scolata al dente e aggiunta al sugo insieme al parmigiano grattugiato, amalgamando il tutto.  Le melanzane, farcite con il ripieno, andavano poi sistemate in una teglia e cotte in forno caldo a 200 gradi per circa venti minuti.

La scelta dell’opzione pugliese, rispetto a quella sarda (forse più sostanziosa e completa come piatto unico), aveva consentito al commissario di prevedere nel menù dedicato alla sua ospite, un secondo a base di cozze e arselle (che aveva visto particolarmente fresche e invitanti nei banchi del mercato dei suoi fidati e conosciuti fornitori settimanali). Sulla tavola non sarebbero mancate le verdure e la frutta di stagione e nel frigo già stazionavano alcune bottiglie del suo vermentino preferito.

La sua ospite arrivò puntualissima.  Elegante e bellissima. Appena slacciò la cintura dell’impermeabile color beige, Santiago De Candia ammirò sulla camicetta bianca un ciondolo di rubino, la pietra preferita di Luisa.  Un paio di mocassini sportivi e pantaloni a sigaretta color marsala, completavano l’abbigliamento della sua amica.

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4.14.2022

Un'indagine al di là di ogni evidente apparenza-49

 


Capitolo Quattordicesimo

 

Alla   riunione del venerdì il commissario De Candia, come sempre, lasciò in fondo alla lista degli omicidi ancora in fase di indagine, il fascicolo dell’assassinio di via Giudicessa Adelasia. Informò i suoi collaboratori sulla svolta che avevano preso le indagini in seguito al ritrovamento presso la casa di Andrea Picciau di parte del materiale asportato dalla cassaforte della vittima, compreso il testamento che lo escludeva dall’eredità della zia.

«Ci manca però la ciliegina sulla torta: assicurare l’assassino alla giustizia!» disse il sovrintendente Farci.

«Stamattina mi hanno restituito da Carbonia il verbale di acquisizione delle prove firmato da Maria Grazia Picciau. Lunedì andrò a parlare con il procuratore capo: stavolta non potrà negarci il mandato di cattura e vedrai che con quello, lo prenderemo, ovunque egli sia!»

«A proposito!» esclamò l’ispettore Zuddas «E’ arrivata un’informativa riservata da Olbia: a un ricettatore è stato proposto, da uno sconosciuto che corrisponde alla descrizione che noi abbiamo di Andrea Picciau, l’acquisto dei gioielli della lista che io ho mandato in giro nelle città più importanti dell’isola; il ricettatore ha riconosciuto i gioielli e ha guadagnato del tempo senza insospettire l’offerente; e ha provveduto ad informare la polizia!»

«Quindi il nostro uomo si trova ad Olbia?» chiese il sovrintendente rivolto al commissario.

«Ah, dimenticavo di dirvi che il nostro uomo si è presentato dal ricettatore con una donna, sostenendo che i gioielli fossero i suoi…» intervenne l’ispettore Zuddas.

«Per me quello sta cercando di procurarsi i soldi per spiccare il volo con quella sua complice! Che ne pensa lei commissario?» ribatte il sovrintendente Farci.

«Quelli come lui, nella scala dei bisogni, hanno al primo posto la droga!» sostenne l’ispettore con foga!

«A proposito!» intervenne il commissario rivolto al sovrintendente Farci, frugando nel fascicolo. «Ti ricordi quell’involucro che ti ho affidato per il Servizio di Polizia Scientifica? È arrivato il referto delle analisi!»

Il sovrintendente prese il foglio che il commissario gli porgeva.

«Fluoracetato di sodio? Ma è uno scherzo?» esclamò il sovrintendente porgendo il foglio all’ispettore Zuddas che glielo sollecitava.

«Quelli della Scientifica non scherzano mai!» disse il commissario con un sorriso.

«Fluoracetato di sodio…Che roba è?» chiese l’ispettore restituendo il foglio al commissario, che lo ripose nel fascicolo.

«E’ un topicida; ma viene utilizzato anche nei fertilizzanti!» rispose il commissario De Candia, che dopo aver letto il referto aveva preso le sue informazioni.

«Sto cercando di ricordare qualcosa… ma non mi viene in mente…» disse l’ispettore stringendo gli occhi nello sforzo di farsi tornare alla mente qualcosa.

«Dì qualcosa in latino, tanto per cambiare!» disse il sovrintendente in tono provocatorio, a mo’ di burla!

«Futue te ipsum, hircus!» disse l’ispettore, senza farselo ripetere due volte! Per lui, sentenziare in latino era un vero e proprio invito a nozze!

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4.12.2022

Un'indagine al di là di ogni evidente apparenza-47

 


Adesso la voce aveva assunto un tono meno guardingo, quasi dolce.

«Ce l’ha con lei questa busta adesso?» chiese il commissario, intuendo che in quella  busta si trovava forse una svolta per le sue indagini.

«E’ a casa mia. Io sto telefonando da un bar vicino all’ufficio…»

«A che ora posso venire a casa sua per visionare insieme il contenuto della busta?» chiese il commissario.

«Io smonto alle quattordici. Ci metto un’ora scarsa a rientrare. Venga quando vuole dopo le quindici» disse la voce, come scaricandosi di un peso.

Acquisito l’indirizzo dalla viva voce della ragazza il commissario, dopo essere rientrato a casa e aver consumato un pasto veloce,  si diresse verso Carbonia. A Iglesias, per la consueta visita a sua madre,  ci sarebbe andato dopo l’incontro con Maria Grazia Picciau.

La giovane impiegata  accolse il commissario con molto garbo. Lo fece accomodare nel salottino degli ospiti. Si assentò solo pochi minuti e tornò con una capace busta bianca a sacchetto, di formato grande, quelle chiamate A3 negli uffici.

Il commissario la aprì, estraendone il contenuto e poggiandolo sul tavolino posa riviste che aveva davanti, sotto gli occhi  attenti della ragazza.

Dentro c’era una chiave da cassaforte che il commissario già conosceva; un involucro contenente una polvere bianca; una siringa ipodermica non utilizzata, provvista di tappo; alcuni atti  notarili di compravendita, un passamontagna per travisamento, un paio di guanti di pelle chiara  e una busta beige, che un tempo doveva essere sigillata, con la scritta “Per Alessandro”.

«E’ tutto quello che c’era!» disse la ragazza. «Ho paura che mio fratello abbia ripreso a farsi… sembrava si fosse disintossicato…» aggiunse in tono triste, proprio mentre il commissario riapriva l’involucro con la polvere per osservarla meglio.

«La faremo analizzare dal nostro Servizio di Polizia Scientifica» disse in tono tranquillo il commissario, richiudendo l’involucro.

«Quella l’ho trovata già aperta!» si affrettò a dire mentre il commissario prendeva  in mano la busta beige. «C’è dentro un testamento olografo. Io credo che l’abbia aperta Andrea»

Il commissario estrasse un foglio uso bollo, redatto con una grafia molto chiara, elegante e leggibile. Nominava erede universale Alessandro Pirastu, ma c’era anche un legato a favore di Angelo Pirastu e di Maria Grazia Picciau. Niente che riguardasse Andrea, se non il fatto che il testamento lo escludeva completamente da ogni beneficio.

«E di suo fratello non ha avuto più notizie?»

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Il romanzo di De André

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