6.30.2022

Il commissario De Candia indaga-27

 


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Capitolo Decimo


L’ispettore Zuddas era ormai di casa al commissariato di Carbonia. Aveva ritrovato un suo vecchio collega di corso, anche lui ispettore in attesa della  promozione a vicecommissario e da lui aveva attinto preziose informazioni utili alla sua indagine sul delitto di via Giudicessa Adelasia.

Dal suo collega aveva saputo che Andrea Picciau era una specie di dandy, un po’ donnaiolo e un po’ eccessivo nei suoi vizi, che amava il bel vivere. Finché erano rimasti in vita i genitori, era riuscito a fare la bella vita, senza lavorare mai troppo seriamente. Poi era caduto nel vortice della droga, roba pesante, prima cocaina e poi eroina, non la solita fumatina o il semplice spinello. Per mantenersi nel consumo di quel vizio costoso, era finito nel giro dello spaccio, il traffico di alto livello, quello che muove i chili dalla Thailandia, per intenderci. Ma per la sua abilità, o per fortuna, o magari perché era riuscito a far ricadere le colpe sugli altri, se l’era cavata alla grande; anziché finire in carcere, era stato inserito in una comunità di recupero, poco fuori Carbonia e lì, seguito dappresso dai servizi sociali e, più discretamente da loro, sembrava essersi rassegnato a una vita più normale, fatta di sangue, sudore e lacrime.

La Comunità di recupero si chiamava ‘Sa Genti Arrubia’ e l’avrebbe trovata lungo la statale per San Giovanni Suergiu, seguendo le opportune indicazioni. La sorella di Andrea, Maria Grazia, lavorava al comune di Villamassargia ma rientrava regolarmente a casa sua, in via Palmiro Togliatti,  ogni pomeriggio, talvolta alle 15,00, talaltra più tardi. L’indirizzo e il telefono erano segnati sul foglietto.

Dopo un caffè di ringraziamento e un excursus necessariamente sommario dei trascorsi goliardici del corso, frequentato insieme, alla scuola di formazione  per ispettori di  Nettuno,  l’ispettore Zuddas, tutto soddisfatto di come avessero preso una piega fortunata le sue indagini in trasferta, si avviò verso la comunità di recupero che gli avevano indicato i suoi colleghi. Nel tragitto si ritrovò a pensare alle serate spensierate che aveva trascorso a Nettuno durante la libera uscita dalla caserma e le domeniche in discoteca, alla conquista delle bellezze femminili cittadine. Un uomo dovrebbe restare sempre scapolo,  pensò con un sorriso nostalgico. Di sicuro lui non si sarebbe mai sposato se non si fosse ritrovato con la ragazza incinta e un suocero che aveva fama di vendicare tutte le offese all’onore con una bella fucilata. Proprio con quel fucile che usava con perizia nella  caccia ai cinghiali e ai cervi.  Per fortuna adesso era di nuovo libero! Il padre di sua moglie era morto e lui si era separato! Anche se quella separazione gli costava ogni mese, una  buona fetta dello stipendio, che finiva  in assegno di mantenimento.  Manco fosse un pizzo da pagare per quei pochi momenti di felicità trascorsi insieme!

6.29.2022

Il commissario De Candia indaga-26

 

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«Mio nonno!» pensò il sovrintendente, che la balla dei sassaresi non se la sarebbe bevuta neanche da addormentato. Sapeva infatti che la rivalità tra le due città più grandi dell’isola, non si limitava soltanto al mondo del calcio, ma era diffusa a tutti i livelli.

«Il verbale lo firma qui  o preferisce passare in questura?» gli chiese il sovrintendente che aveva trascritto la conversazione su un foglio protocollo. Poi lo avrebbe trascritto al computer e la minuta l’avrebbe allegata con la firma sua e del testimone a sommarie informazioni.

«Non è che mi vuole incastrare con questa firma?» disse Mantininca, mezzo ridendo, scegliendo però di firmare subito. In Questura non ci sarebbe andato neanche a pagamento. Lì erano persino capaci di trattenerlo e fargli pagare tutti i furti che ancora non gli avevano scoperto.

«Tranquillo! Noi sapremmo come incastrarti, se volessimo! Stanne pur certo!» gli rispose il sovrintendente riprendendosi il foglio e la penna che gli aveva allungato.

«Piuttosto» aggiunse dandogli un suo bigliettino e tornando a un più formale ‘lei’ «se viene a sapere qualcosa, mi chiami a questo numero. E’ anche suo interesse se noi mettiamo le grinfie sull’assassino. Sassarese o non sassarese, si tratta pur sempre di un estraneo che ha invaso delle zone che sono di competenza delle bande cagliaritane» concluse poi ben sapendo che Mantininca, al di là dei suoi dinieghi, era tuttora attivissimo come topo di appartamenti proprio in quella zona, dove era stato commesso l’omicidio per cui stava svolgendo indagini.

«’Bellu fill’ e bagassa custu Farci!» esclamò Mantininca dopo che il sovrintendente si era già allontanato di un bel po’ – rigirandosi per le mani  il bigliettino che il  poliziotto gli aveva dato.

«Dallo a me quel biglietto, prima che te lo trovino in tasca i tuoi amici e ti diano qualche ‘surra’  pensando che sei uno spione!» gli disse il cognato «E vedi di finire quella portiera, che dopodomani viene il cliente a ritirarsela»

«Cee! Hai ragione! Tienilo tu! Meglio non averlo  in tasca! Non si sa mai!»

Martininca riprese a scartavetrare di  buona lena, maledicendo in cuor suo gli sbirri e  i sassaresi, ma  sperando comunque che la ‘Giusta’ acchiappasse quel figlio di bagassa che si era infiltrato nella sua zona senza chiedere il permesso a nessuno.

 

6.28.2022

Il commissario De Candia indaga-25

 

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«Son venuto a parlare  con lei, signor Girau!» disse rivolto al più giovane dei due cognati. Il sovrintendente si era studiato le foto segnaletiche prima di muoversi e in ogni caso non avrebbe mai corso il rischio di sentirsi dire che il sullodato Girau non era presente.

«Non si preoccupi» aggiunse subito a beneficio dell’interlocutore, che era sbiancato in viso «Devo farle soltanto delle domande che riguardano l’omicidio avvenuto la domenica pomeriggio del 23 aprile appena scorso!»

«Cosa vuole che ne sappia io di omicidi!» disse ‘Sa Mantininca’ «io ho già pagato il mio conto con la giustizia. Ero dentro per furto e sono uscito a marzo. Adesso lavoro con mio cognato e rigo dritto!»

«Però lei è stato visto nei pressi della casa dove è stato commesso l’omicidio!» disse bluffando il sovrintendente. Sa Mantininca abboccò subito all’amo.

«Chi è stato quella carogna, bugiardo e spione! Me lo dica e vediamo se ha il coraggio di ripeterlo davanti a me!»

«Mi scusi, brigadiere!» intervenne ‘Bomboletta’, che probabilmente era fermo ancora a quando i poliziotti avevano i gradi da militari «ha detto domenica 23 aprile di pomeriggio?»

Come il sovrintendente annuì, quello aggiunse subito:  «Mi sa che eravamo insieme alla partita del Cagliari; allo stadio S. Elia; noi facciamo parte degli Ultras Rossoblu del Club di Marius; i biglietti io li chiedo sempre al presidente del club, che me li procura scontati!»

Il sovrintendente continuò a scrivere  impassibile.

«Verificherò il vostro alibi e se verrà confermato, come penso che avverrà, a maggior ragione lei non ha niente da temere!. Possiamo andare avanti nell’interrogatorio?» disse ancora il sovrintendente rivolto a sa Mantininca che, recuperato  coraggio e sangue freddo grazie all’intervento del cognato, aveva ripreso a scartavetrare la carrozzeria dell’auto che aveva per le mani.

«Io di omicidi non ho mai saputo niente e non so nulla neanche di questo qui.»

«Però dalla casa della vittima sono spariti soldi e gioielli. Quindi abbiamo ragione di pensare che l’omicidio sia scaturito da un furto».

«E cosa c’entro io?»

«Be’, visto che l’omicidio e il furto sono  stati commessi nella quartiere dei Giudicati, e dato che i colleghi ci hanno detto che quella è la sua zona di competenza, ci chiedevamo, alla Omicidi, se per caso lei si era fatto un’idea di chi possa essere stato. Qui si tratta di un omicidio e non di un semplice furto», aggiunse Alessio Farci bilanciando il suo peso in modo da alleviare la morsa delle scarpe che gli stringevano i piedi.

Mantininca era lusingato di essere considerato dalla Questura  un piccolo boss, con un suo territorio di competenza. Inoltre adesso  anche in Questura si erano resi conto che un concorrente aveva sconfinato nel suo pascolo; e questo fatto però non gli era piaciuto affatto; anzi, gli aveva dato  proprio fastidio sin da quando aveva appreso la notizia dall’Opignone. Non era stato uno della sua banda, questo era certo; lo si sarebbe saputo; nell’ambiente della mala certe cose si vengono a sapere. Ma lui certe cose alla “Giusta” non poteva e non voleva dirle. Disse la prima cosa che gli venne in mente.

«Io ormai sono fuori dal giro, ma ai miei tempi, una cricca di sassaresi sconfinava ogni tanto qui in Casteddu. E quelli quando si muovono, fanno sempre cazzate!»

6.26.2022

Il commissario De Candia indaga-24

 

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Capitolo Nono 

Il sovrintendente Farci decise che sarebbe stato meglio andare a trovare Ninni Girau alias Sa Mantininca da suo cognato, che aveva un’officina da carrozziere dietro il cimitero di San Michele. Alessio Farci aveva pensato  che se lo avesse cercato a casa sua, nella zona di via Premuda, invero non distante dal cimitero, sarebbe stato più facile, per uno svelto come lui, sgusciargli dalle mani. Lì, in campo aperto, lo avrebbe affrontato meglio; tanto più che preferiva intervenire  da solo e non gli andava di scomodare una pattuglia solo per sentire dei testimoni per delle  informazioni sommarie.

Arrivò dunque in borghese e con una macchina civetta. Parcheggiò dall’altro lato del piazzale, al di là di una fitta fila di oleandri e si avviò a piedi verso l’officina. Appena sceso dalla macchina si era subito pentito di avere indossato le scarpe nuove che gli aveva regalato da poco sua moglie. Se le sentiva  strette, forse perché erano nuove e  i piedi presero subito a fargli male. Gli venne in mente un proverbio siciliano che ripeteva sua suocera, alla quale voleva bene per davvero, alla faccia dei luoghi comuni; ma forse questo dipendeva dal fatto che lui aveva perso la madre da ragazzo. I nemici dell’uomo sono tre, soleva ripetere sua suocera, nel suo dialetto siciliano che lui aveva cominciato a capire.  Scarpi stritti, vinu acidusu e pani maffutu, diceva la sua cara suocera. Scarpe strette, vino acetoso e pane ammuffito. Accidenti! Sul vino e sul pane non aveva molte esperienze dirette,  ma sulle scarpe aveva proprio ragione la madre di sua moglie! Meno male che non aveva parcheggiato troppo lontano e che  l’officina dove lavorava il  testimone che doveva sentire, gli  apparve subito in lontananza,   dall’altra parte dell’ampio piazzale  su cui si affacciavano diverse attività artigianali.

Il cognato di ‘Sa Mantininca’, titolare dell’officina,   aveva un tempo fatto parte di un’organizzazione specializzata nel traffico internazionale di automobili; un affare grosso: le auto rubate venivano rimesse a nuovo, con motori truccati e documenti contraffatti e poi rivendute all’estero. Un valzer pazzesco che portava un giro di soldi notevole. La banda era stata sgominata e adesso ‘Bomboletta’, come lo chiamavano tutti, rigava dritto da un pezzo. Aveva mantenuto però un fiuto infallibile per riconoscere gli sbirri, anche se lui, oramai, più dei poliziotti e dei carabinieri, temeva le visite della  guardia di finanza,  dato che praticamente, per far quadrare i conti e per non dare soldi al suo antico avversario, lo Stato, ,  lavorava quasi esclusivamente in nero; quanto a sa Mantininca,  sapeva da un  suo amico avvocato, che un cognato poteva lavorare in officina come familiare, senza bisogno di essere assicurato all’INPS.

«Guarda che sta arrivando la Giusta, o Ninni! Cosa hai combinato di nuovo?» disse Bomboletta vedendo arrivare il sovrintendente con fare indifferente (quelli della mala e gli spacciatori chiamavano ‘la Giusta’ i poliziotti; per i carabinieri preferivano ‘La Pula’, anche se la differenza la conoscevano ormai soltanto quelli della vecchia guardia).

«Niente ho fatto! Magari è qui per te!» si schermì Mantininca subito sulla difensiva.

«Buongiorno! Sono il sovrintendente Farci della Squadra Omicidi della Questura di Cagliari!» disse ai due cognati, che avevano continuato a lavorare come se niente fosse!

Il commissario De Candia indaga-23


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In pizzeria riuscirono a parlare della vicenda di via Giudicessa Adelasia. L’avvocato Levi consegnò al commissario un elenco completo e una descrizione dettagliata dei gioielli che erano custoditi nella cassaforte, appartenuti alla povera signora Emma Pirastu. Quella donna non smetteva mai di sorprenderlo per l’intelligenza e il fascino che riusciva a dimostrare in eguale misura e in pari intensità. Lo informò inoltre che il suo assistito era andato in Banca e aveva scoperto che era stati effettuati due prelievi con il bancomat, in due giorni differenti: il giorno dell’omicidio e il giorno dopo. Poi la banca, letta la notizia sul giornale aveva provveduto a bloccare il conto corrente.

Alessandro Pirastu aveva precisato che, nonostante le sue raccomandazioni in senso contrario, sua zia si ostinava ad avvolgere la tessera bancomat in un foglio di carta ove aveva trascritto il codice segreto (che lui invece ricordava a memoria). Quindi il ladro omicida aveva avuto gioco facile a fare i prelievi.

 Per quanto riguarda il libretto postale le cose erano un po’ più complicate.  Era stato emesso dalle Poste Centrali di Piazza del Carmine ma i prelievi, con appropriati  documenti di identità, si potevano fare prelievi in tutti gli uffici d’Italia, nel limite, pare, di seicento euro al mese. Col libretto erano spariti anche la carta di identità della vittima. Il suo assistito si sarebbe recato alle Poste per vedere di bloccare il libretto, pur se non ne ricordava a memoria gli estremi. Ad ogni buon conto, lei, l’avvocato, avrebbe provveduto a mandare una diffida alla sede legale di Torino per bloccare comunque i prelievi da ogni titolo cartaceo, materiale o immateriale,  intestato alla defunta Emma Pirastu.

Insomma per il commissario non era rimasto un granché da fare, almeno con riguardo alla Banca e alle Poste.

Si salutarono in via Giudicessa Vera, una parallela della via Torbeno e della stessa via Giudicessa Adelasia dove il commissario De Candia aveva parcheggiato la sua auto.

Luisa gli diede un bacio fugace sulle labbra, stringendosi a lui con trasporto e ringraziandolo ancora per le rose rosse e per la serata trascorsa insieme.


Vedendola andar via, il commissario si chiese se l’avesse potuta ancora stringere tra le braccia. Era la cosa che avrebbe voluto di più,  in assoluto.

 

 

 

 

 

6.24.2022

Il commissario De Candia indaga-21

 


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Capitolo ottavo


Il sabato pomeriggio, verso le 16,30 il commissario Santiago fu svegliato dalla vibrazione del suo cellulare. Il suo rapporto con la tecnologia era stato da subito ambiguo, per non dire schizofrenico.

Finché aveva potuto,  aveva resistito con la sua macchina da scrivere Olivetti e senza cellulare. Poi, per amore di sua moglie, si era rassegnato a portare con sé un cellulare; e in ufficio era arrivata, obbligatoria e improrogabile, la nuova tecnologia informatica; e anche lui si era dovuto piegare all’uso del computer e degli altri strumenti informatici.

Erano  innegabili i vantaggi che la nuova frontiera tecnologica aveva portato con sé: la velocità della comunicazione via Internet, consentiva la trasmissione di documenti e messaggi scritti e vocali in tempo reale e in maniera diretta; la redazione dei documenti era agevolata dalla possibilità di correzioni multiple e contestuali, oltre che dalla eventualità di  redigere i nuovi documenti, partendo dai vecchi; e le informazioni viaggiavano alla velocità della luce da un capo all’altro del globo, comprese le informative tra le questure e tra queste e le direzioni generali del ministero; anche lo scambio di informazioni con le sezioni criminali estere (criminalpol, europol e quant’altro) era divenuto più diretto e immediato. Eppure, mentre si adeguava di buon grado a quella inarrestabile rivoluzione tecnologica, forse per un inconscio atteggiamento di autodifesa verso quei rinnovamenti troppo repentini e  incontrollabili, capaci di travolgere secoli, se non millenni, di abitudini acquisite, il commissario De Candia, si immergeva tuttavia,  in un mare di nostalgico romanticismo, dove il passato assumeva i contorni di una epopea di felicità ormai perduta.

Amava ripetere, al proposito, che per fortuna gli altri uomini erano diversi  da lui, altrimenti l’umanità si troverebbe ancora a vivere nelle caverne o tutt’al più nelle palafitte, procacciandosi il cibo con arco e frecce; e magari  avrebbe trascorso le notti d’estate sotto il cielo stellato, trasmettendo oralmente   fantastiche storie di magiche avventure, custodendo i segreti della scienza e della medicina dentro templi di pietra e adorando improbabili dei sotto la luna splendente.

Si trattava evidentemente di una iperbole, provocatoriamente assurda e indifendibile, ma c’era un fondo di verità in quei discorsi, emblematici di una personalità conservatrice e  riservata, quasi votata a un  monachesimo profano o a un eremitismo romantico.

E il suo cellulare non aveva suoni ma solo vibrazioni; quasi una rivalsa verso un mezzo al quale non voleva concedere uno spazio di intervento troppo ampio.

A pranzo si era cucinato delle orecchiette alle alici marinate e due triglie di scoglio alla livornese; il vino bianco e fresco lo avevano predisposto alla migliore siesta che si potesse desiderare in un pomeriggio di maggio. Il suo udito superfino avvertì la vibrazione, mentre le spire di sogni confusi si diradavano fugacemente.

«Sì?»

«E’ il commissario De Candia?» chiese una voce femminile che non sembrava del tutto sconosciuta.

«Sì!»

«Non la sapevo amante dell’opera!»

Adesso che  il suo cervello aveva ripreso a funzionare a pieno regime, riconobbe subito quella voce

«Luisa! Ma che piacere! Come stai?»

«Grazie per le splendide rose, Santiago!» disse la voce all’altro capo del telefono. Adesso il tono era passato dalla celia di prima, a una frequenza intima e sottile che penetrò profondamente nell’animo del commissario. «Meno male!» pensò, poco prima di dire a voce alta:

«Contento che ti siano piaciute!»

«Sono stupende!»

Il commissario percepì ancora nelle corde più intime del suo cuore, il sentimento e le vibrazioni che emanavano da quella voce.

6.22.2022

Il commissario De Candia indaga-19

 

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L’ispettore Zuddas, dal canto suo, riferì che aveva praticamente risolto i due casi di femminicidio, verificando da un lato l’effettiva  colpevolezza del primo degli assassini, suicidatosi subito dopo avere ucciso la propria compagna, che aveva deciso di lasciarlo. E aveva già raccolto  la confessione del secondo caso di uxoricidio loro affidato. In questa circostanza precisava il pignolo ispettore, si trattava di una coppia che si era sposata in giovanissima età. Con il tempo la donna era maturata e aveva sviluppato una forte personalità, anche in campo professionale, e aveva finito per surclassare l’uomo, il quale, ancorato a schemi arcaici nei rapporti di coppia, e incapace di gestire la nuova situazione dal punto di vista psicologico, aveva scelto la comoda scorciatoia di eliminare il problema alla radice, uccidendo la moglie con il suo fucile da cacciatore.  Adesso però a Zuddas  serviva un po’ di tempo per verificare ed eventualmente completare i documenti delle altre pratiche.

L’ultimo fascicolo che il commissario pose in evidenza fu quello dell’omicidio di via Giudicessa Adelasia.

Il sovrintendente Farci riferì subito che un loro confidente, infiltrato nella banda dei fratelli Cannas, noti anche nell’ambiente come ‘I fratelli Chiodi’, praticamente due boss di topi d’appartamento e di rubagalline del capoluogo e dell’hinterland cagliaritano, riferiva che nella zona dei Giudicati e di Piazza Giovanni operava un certo Ninni Girau, noto come sa Mantininca, che in cagliaritano identifica una scimmietta da circo e il tizio in questione doveva il suo soprannome all’agilità con cui si arrampicava sui tetti degli edifici. Poi si infilava attraverso finestre, lucernai, grate e strettoie varie, nei bar, nelle case, nei negozi e nei magazzini per ripulirli di quanto più prezioso gli riuscisse di arraffare. Sa Mantininca era uscito da ‘casanza’, come la mala cagliaritana chiama il carcere, nel mese di marzo del corrente anno, dove era entrato per la quarta volta pur essendo ben accreditato nell’ambiente della mala, grazie a una cinquantina di ‘sgobbi’, come la mala locale chiama i furti d’appartamento e dei negozi, realizzati con destrezza, anche in pieno giorno.

Farci, con la sua consueta solerzia si era già procurato dal Casellario Giudiziario la sua fedina penale.

Il commissario, sempre aggiornato con una meticolosità maniacale, sulle statistiche annuali dei reati denunciati, di quelli perseguiti e delle condanne che redigeva la Direzione competente del  Ministero degli Interni, commentò che la percentuale del sullodato Mantininca era in linea con le statistiche ufficiali del Ministero e si complimentò con il sovrintendente per l’ottimo lavoro svolto, mentre allegava i documenti e i fogli con gli appunti che Farci aveva consultato nella sua esposizione.

«Io direi che vale la pena di assumere dall’indagato informazioni utili!» aggiunse il commissario, precisando che a giorni avrebbe consegnato un elenco e una descrizione dei gioielli spariti dalla casa della vittima e che, di conseguenza, sarebbe occorso interessare i ricettatori della zona.

«E lo stesso farei per la zona di Carbonia! Che ne dici Zuddas?» aggiunse ancora De Candia rivolto all’ispettore che sembrava essersi assentato dal contesto, forse annoiato dalla pedanteria  del collega Farci che a lui, al contrario del commissario, non piaceva affatto.

«Ah, sì certo!» esclamò Zuddas, preso alla sprovvista, affrettandosi a consultare dei fogli che aveva già in mano prima di relazionare. «Sono stato anche a Carbonia. Dunque, risulta che gli unici parenti, oltre al nipote indagato, quello con il coltello insanguinato in mano, per intenderci, aveva due nipoti,  figli di una sorella, premorta e il papà dell’indagato, fratello minore della vittima e anche della sorella morta, che era la maggiore dei tre. I nipoti di Carbonia si chiamano: Maria Grazia e Andrea Picciau, orfani di entrambi genitori. Lei è impiegata al  Comune di Villamassargia, un piccolo paese poco distante da Carbonia. Ha vinto un regolare concorso pubblico e lavora lì da più di dieci anni. Pare che sia un’impiegata modello. Il fratello maggiore, invece, Andrea ha dei trascorsi burrascosi da tossicodipendente ma ha la fedina penale pulita, a parte qualche denuncia , a metà tra spaccio e consumo, ma ha sempre evitato il carcere, un po’ perché i suoi genitori, quando erano in vita, lo hanno fatto seguire dai migliori avvocati e non gli hanno fatto mancare i soldi in tasca. Un po’ perché ultimamente, in pratica da quando sono morti i genitori, ha accettato di seguire un progetto di recupero ed è ospite di una comunità nelle campagne che circondano il sito archeologico di  Monte Sirai. Il fine settimana chiede un permesso e va a stare a casa della sorella, non disponendo di abitazione propria, né di mezzi economici per prenderne una, neppure in affitto.

«Bene!» commentò soddisfatto il commissario, omettendo di dire al suo collaboratore che quelle cose le sapesse già. «Anche io mi sono dato da fare e ho scoperto che la cassaforte della vittima è stata ripulita e sono spariti titoli e gioielli. E siccome dai verbali non risulta che il nipote imputato avesse addosso quei titoli e gioielli, né sono stati rinvenuti a casa di suo padre nella successiva perquisizione, ne deriva, giocoforza, che qui dobbiamo continuare a battere le due piste che già stiamo battendo. L’assassinio deve essere maturato nell’ambito di un furto finito male, anche se non escluderei che questo furto possa essere stato opera di una persona conosciuta dalla vittima»

«Tertium non datur?» chiese Zuddas, sfoggiando il suo consueto repertorio di espressioni latine.

«No, no, direi di no!» si affrettò a dire De Candia, prevenendo le proteste di Farci, che non amava affatto questo sfoggio di espressioni latine che il suo collega non mancava di fare, a ogni riunione. «Non credo che l’assassino, chiunque egli sia, fosse in combutta con il nipote indagato. D’altronde, non aveva alcun interesse a fare sparire i documenti dalla cassaforte, alla luce del fatto che fra di loro pare vi fosse un testamento che lo nominava erede universale dei beni della zia defunta!»

«Caspita! Che notizia!» esclamò il sovrintendente Farci con un fischio di sorpresa.

6.20.2022

Il commissario De Candia indaga-17

 

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De Candia la precedette e appena in cima si voltò e le tese la mano per aiutarla a completare l’ultimo tratto di gradini. La mansarda era scarsamente arredata con un lettino, un comodino, una sedia, un armadio in legno e una scala a libretto, aperta sotto uno dei due lucernari, proprio come l’aveva lasciata lui dopo il sopralluogo precedente.

«Secondo me i fatti sono avvenuti in questo modo! L’assassino è stato scoperto dalla vittima mentre rovistava in cucina, tralasciamo per adesso che cosa cercasse in cucina e perché si trovasse proprio lì. La vittima si è messa a urlare, magari perché il ladro era a viso coperto, o magari perché si è semplicemente spaventata. Allora il ladro ha afferrato un coltello e l’ha uccisa per farla tacere. Poi, forse, si è spaventato. Ha pensato di fuggire dalla porta ma deve avere sentito il rumore del nipote che stava arrivando e così ha cercato di nascondersi qui, nel piccolo bagno per gli ospiti, di sotto. Oppure, più verosimilmente, ha pensato di fuggire dalla stessa via da cui era penetrato in casa. Anche questo dettaglio andrà chiarito. Mi segui nel mio ragionamento?» chiese il commissario all’avvocato che si era seduta su un lettino che stava proprio sotto uno dei due lucernari che davano luce e aria alla mansarda.

«Ti seguo. Vai avanti» rispose la donna, guardandosi in giro.

«Quando ha sentito il trambusto che sicuramente hanno fatto i Carabinieri, arrivando come minimo a sirene spiegate, deve essere salito qui in mansarda per guadagnare una via di fuga. Però qualcosa lo ha fermato. Forse si è acquattato qua fuori, in questo anfratto esterno, proprio a ridosso della finestra, vieni a vedere!»

Santiago, non senza difficoltà, a causa della sua robusta corporatura, si era affacciato fuori dal lucernario. Scese però con insospettata agilità dalla scaletta in legno per consentire all’avvocato di salire a sua volta. Luisa Levi annuì dopo essere ridiscesa, invitando il commissario a continuare.

«Be’, magari per non rischiare di essere visto, avrà aspettato in cima alla scaletta, pronto a squagliarsela se soltanto avesse sentito qualcuno salire su per le scale.»

«Ma i Carabinieri, convinti di aver preso il vero e unico assassino non hanno neppure pensato di salire quassù a controllare!» lo anticipò con convinzione l’avvocato che ormai aveva capito dove volesse andare a parare l’arguto commissario, dando a intendere che condivideva la sua ricostruzione.

«Esattamente!» esclamò lui, contento che la sua amica lo seguisse e fosse d’accordo con la sua ipotesi. «Quando finalmente si sono calmate le acque è ridisceso e ha finito l’operazione per cui probabilmente era venuto. Svaligiare la casa della vittima.»

«Un topo d’appartamento. Certamente un ladruncolo dotato di sangue freddo!» commentò Luisa riflettendo.

«Ancora non sappiamo con certezza se sia davvero entrato con l’idea di rubare o di fare altro…» disse in maniera sibillina il commissario.

«Al di là di questo, la tua ricostruzione mi sembra abbastanza plausibile» convenne Luisa. «Vieni, rimettiamo tutto a posto e andiamocene!»

Fecero a ritroso la strada verso il basso e, rimessa ogni cosa al proprio posto, uscirono.

Il sole, adesso, era sulla via del tramonto. Le rondini continuavano a garrire festose, mentre un’altra colonia di fenicotteri, più numerosi di prima, si dirigevano in direzione degli stagni di Molentargius. O forse ancora più in là, verso Quartu Sant’Elena.

«Che fai ora?»

«Vado a casa a farmi una bella doccia!» rispose il commissario senza pensare. «È da stamattina che sono in giro!»

«Perché non te la fai a casa mia la doccia?» disse con un sorriso malizioso Luisa Levi.Al commissario passò di colpo la stanchezza che aveva accumulato in quella giornata piena di lavoro.

«Se non disturbo…» disse così, tanto per dire, e per nascondere l’emozione e la contentezza che quell’invito insperato gli avevano suscitato.

«E chi dovresti disturbare? Ti sei dimenticato che mio figlio è in gita scolastica, a Barcellona?»

«Bene. Accetto volentieri, allora.»

Quella sera, il commissario si fece una doccia memorabile, di quelle che rimangono scolpite nei ricordi. Finirono insieme sotto la doccia, come due adolescenti, a insaponarsi a vicenda, e a spruzzarsi l’acqua negli occhi. O più semplicemente come due amanti appassionati. Lui le baciò tutto il corpo, ancora bagnato, mentre l’acqua scendeva sopra di loro, come una pioggia benedetta, calda e confortevole.Cenarono insieme e Santiago scoprì così che lei aveva già cucinato per entrambi.A notte fonda il commissario si ritrovò per strada, talmente lieto e sereno, che decise di fare a piedi la strada per rientrare a casa. Gli sarebbe piaciuto fermarsi a dormire, ma si ricordò che si era ripromesso di non essere troppo invadente e di lasciare che il loro rapporto crescesse piano, piano. Poco per volta, alla giornata, come voleva lei. E come forse voleva anche lui.Quando arrivò a casa era davvero stanco. Quella notte non riuscì a comporre le tessere del suo mosaico. Il sonno arrivò subito. Ma il commissario non fu dispiaciuto, anzi!

6.18.2022

Il commissario De Candia indaga-15

 


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Capitolo Sesto

Il mercoledì successivo, mentre rientrava a casa dalla passeggiata nel Parco di Monte Urpinu, il commissario De Candia ricevette una telefonata.  La voce di Luisa, sempre calda e piacevole, gli comunicò di essere finalmente in possesso della chiave della cassaforte a muro della casa dell’omicidio, quella di quel ragazzo con il coltello insanguinato in mano.

 «Luisa, pensi che ci sia ancora la corrente elettrica in funzione?»

«Non lo so se qualcuno ha chiesto l’interruzione dell’energia elettrica. Io sono ancora a studio.»

«Allora rimandiamo a domani. Anche se io ho il rientro pomeridiano fino alle 18:00, ma a quell’ora c’è ancora luce e volendo potrei uscire anche un po’ prima.»

«Beh, io posso chiudere lo studio verso le 17:00 visto che non ho appuntamenti fissati dopo quell’ora.»

Si diedero appuntamento direttamente in via Giudicessa Adelasia per le 18:30, dopo i convenevoli di routine.

Santiago De Candia si chiese se un simile sopralluogo, effettuato con l’avvocato difensore dell’unico indiziato, fosse corretto da un punto di vista professionale. L’esame di procedura penale lo aveva sostenuto, all’università, parecchi anni prima e non ricordava, in quel momento, quale fosse l’esatto iter procedurale da rispettare. Considerò tra sé e sé che, per prima cosa, l’indiziato era stato comunque rimesso in libertà dal Tribunale. Poi, l’avvocato si era offerta di dare una mano per identificare il vero colpevole. E infine, per evitare complicazioni, non avrebbe mai fatto figurare ufficialmente quel sopralluogo. ‘Quod non est in actis, non est in mundo’, avrebbe detto il suo valido collaboratore, l’ispettore Zuddas. Dopo tutto, in coscienza, lui sapeva di non compromettere le sue indagini. Anzi, l’aiuto dell’avvocato Levi sembrava costituire persino un valore aggiunto per la soluzione del caso.

Il commissario aveva ripensato molto alla giornata di domenica. Da quando era morta la moglie, più di cinque prima, non aveva avuto storie particolarmente coinvolgenti. Soltanto Luisa lo aveva in qualche modo conquistato. Non era soltanto un’attrazione fisica, anche se l’avvocato Levi aveva un corpo sodo accompagnato da una intelligenza vivace come piaceva a lui. In realtà quella donna esercitava su di lui un fascino indefinibile. Da un lato, materno con quella sua avvolgente sicurezza femminile e quel suo seno florido e prosperoso. Però, sentiva che quella professionista abile e caparbia fosse alla ricerca, come tante donne, di un punto di riferimento o di un centro di stabilità. La sua sicurezza e la sua grinta erano autentiche, solide e profonde ma, non di meno, egli intuiva che la sua femminilità avesse bisogno di un elemento di completamento che non sconfinasse e non collidesse con la rivalità professionale e il confronto quotidiano e continuo. D’altronde, non era forse uguale per gli uomini? Non cercavano anch’essi una figura femminile che li completasse, dando loro stabilità, protezione, affetto?

Sin da lunedì era stato  incerto se mandarle un mazzo di rose rosse, come soleva fare, seppure in occasione di ricorrenze, con sua moglie. Il suo sarebbe stato un gesto per manifestarle la sua ammirazione, il suo ringraziamento per la bella giornata trascorsa insieme. Un gesto per dichiarare apertamente la passione che provava per lei.

Poi aveva scelto  di non inviarle perché tra loro non c’era stata una vera e propria spiegazione in occasione del loro casuale incontro del sabato precedente. Anzi lui aveva capito che il silenzio di lei nei mesi precedenti era da attribuirsi, non tanto alla sua paura di innamorarsi, quanto piuttosto al timore che dall’innamoramento passionale si potesse passare a una relazione piatta e ordinaria, fatta di abitudine e routine.

Aveva deciso così di darle tutto il tempo di cui lei avesse avuto bisogno. Neanche lui, in fondo, era in cerca di una relazione standardizzata sull’ordinario, priva di emozioni e fatta di abitudini e convenzioni. Santiago si era, alla fine, adeguato a quella che sembrava essere la scelta di lei. Un rapporto senza vincoli, ricco di sincerità, ma anche di libertà. Amore e indipendenza e con una travolgente passione da vivere alla giornata.

6.16.2022

Il commissario De Candia indaga-13

 


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Nella parte conclusiva del viaggio, proprio mentre il loro fuoristrada, lasciandosi Guspini alle spalle, cominciava a inerpicarsi sulla larga salita che conduce al vecchio borgo minerario, l’avvocato Luisa Levi inoltre  apprese  come dalla coppia fosse nato il papà del commissario, Salvatore De Candia. Il quale, dopo aver prestato il servizio militare, innamoratosi di una diciassettenne di nome Regina Serru, figlia di un guardiano minerario, già comandante della compagnia barraccellare guspinese, fosse passato nei ranghi della polizia di stato, trasmettendogli, congiuntamente al nonno materno, quella passione per l’ordine e la disciplina che Santiago aveva saputo rielaborare in quella sua maniera fantasiosa e originale che lo caratterizzava. Luisa aveva ascoltato la storia del commissario, come da piccola aveva imparato ad ascoltare le favole che il papà le raccontava prima di addormentarsi.

Erano da poco passate le undici quando il commissario parcheggiò la sua auto di fronte a un edificio che un tempo aveva ospitato il centro vitale dell’antico borgo minerario, con l’Ufficio Postale, la Caserma dei Carabinieri, lo Spaccio Aziendale e, poco più avanti anche il cinematografo. E dove adesso resisteva ancora un bar, in cui poterono rinfrescarsi prima di iniziare la passeggiata a piedi che Luisa accettò di fare con entusiasmo.

Il commissario le fece da Cicerone, anche se in realtà a guidarlo non erano tanto le sue conoscenze dirette di quei luoghi, ma più che altro i racconti che  i suoi genitori, e sua madre in particolare,  gli avevano fatto in gioventù. Prendendola per mano affettuosamente il commissario la guidò nei diversi siti, ormai ammantati di un’aura monumentale. La sede della direzione, con gli uffici a piano terra, gli alloggi del direttore al primo e quelli dei dipendenti, tra cui suo nonno paterno, al secondo piano. L’ospedale con la chiesetta dedicata a Santa Barbara, protettrice dei minatori. La laveria, le officine per la manutenzione degli impianti, la vecchia linea ferroviaria, a scartamento ridotto, che trasportava piombo e zinco a San Gavino. E infine Telle, il villaggio dov’era nata sua madre,  ormai quasi inghiottito dalla vegetazione, che si stava riprendendo lentamente tutti gli spazi che gli uomini le avevano sottratto nei decenni precedenti.

«Sei stanca?» le chiese a un certo punto il commissario, timoroso di averla fatta camminare a lungo e


per troppo tempo.

«No, per niente! Sei riuscito a farmi dimenticare, per una buona parte della mattinata i miei problemi quotidiani!» rispose con trasporto l’avvocato Levi.

«Meno male!» commentò il commissario sentendosi risollevato da quella risposta entusiasta e spontanea.«Adesso ti porto in un bel ristorante a recuperare un po’ di energie, perché poi, se non hai niente in contrario,  intendo arrivare sino a Buggerru!»

«Bene! Quest’arietta di montagna mi ha fatto venire un po’ di appetito!»

Il romanzo di De André

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